Dante Alighieri is a symbol of Italy and its poetry, but also of the city he was born, Firenze. A proud Florentine, Dante never kept the love he had for his hometown a secret, so why is he buried in Ravenna? Well, because that’s where he passed, of course, but the matter of where his mortal remains should rest was the cause of mystery and diatribes for centuries.
Dante rests, today, in a quiet corner of the Emilia-Romagna town, his marble mausoleum protected by sunlight and heat by the leafy beauty of an oak planted by poet and Nobel laureate Giosuè Carducci, in the early 20th century. The tomb, which is lovingly known by locals as the zucarira, or “sugar bowl” because of its shape, was designed and built at the end of the 18th century by architect Camillo Morigia. But before – and after – then il Sommo Poeta’s bones had little rest.
Dante died in 1321, while in Ravenna. Likely, the plan was to have him buried outside the church of Saint Francis, in a monumental sarcophagus offered by the lord of Ravenna, Guido Novello da Polenta. A century and a half later, in 1483, Bernando Bembo, then head of the town, had the tomb renewed and commissioned sculptor Pietro Lombardo the bas-relief with the features of the poet we still see today inside the mausoleum.
That was the last moment of peace poor Dante – or at least for his mortal body – had for some two hundred years. Florence, which wasn’t always particularly nice to her most famous child while he was alive, put her foot down to have him back and honor him properly, at least as a dead man.
Ravenna wasn’t going to let go. So, between the 16th and the 18th century, Dante’s remains just… disappeared. Or better, they were kept safe by Ravenna’s Franciscan monks.
Where did they keep them? We don’t know. Were they in Ravenna? Your guess is as good as mine. For two centuries, Dante was nowhere to be found. That, until 1781-82, when already-mentioned Camillo Morigia developed the current mausoleum, as commissioned by cardinal Luigi Valenti Gonzaga.
But if you think that was the end of it, then think again. In 1810, the Franciscans, who were in charge of the mausoleum, were forced to leave their convent because of Napoleon’s new regulations against religious orders; lest the invaders decided to take the father of the Italian language back to Paris with them, the monks hid his urn before leaving.
Some 50 years after the end of Napoleonic rule in Italy, on the 25th of May 1865, builders were busy at work on some structural renovations in the convent when they came across, inside a wall of the Quadrarco di Braccioforte, an unassuming wooden box they were set to throw in the garbage. We can thank a local student, Anastasio Matteucci, who was – just like all students in those years and for years to come in Italy – well versed in Latin if the bones of the most iconic poet in the history of the Italian language weren’t unceremoniously dumped like an old bag into a bin: he understood the incision on the box, which said it contained the bones of Dante.
On that occasion, the bones were collected in a crystal urn and put on display for some months. Then, they were finally buried in the mausoleum we all know. Inside it, besides the 15th-century bas-relief made by Lombardo, we also find a bronze and silver wreath offered by the Italian army at the end of World War One and a small votive oil lamp, filled with Tuscan olive oil, offered every year by the city of Florence, on the second Sunday of September, to honor her beloved poet in exile.
Dante Alighieri è un simbolo dell’Italia e della sua poesia, ma anche della città in cui è nato, Firenze. Fiero fiorentino, Dante non ha mai tenuto nascosto l’amore per la sua città natale, quindi perché è sepolto a Ravenna? Perché è lì che è morto, certo, ma la questione di dove dovessero riposare i suoi resti mortali è stata per secoli motivo di mistero e diatribe.
Oggi Dante riposa in un angolo tranquillo della città emiliano-romagnola, il suo mausoleo marmoreo protetto dalla luce del sole e dal calore dalla bellezza frondosa di una quercia piantata dal poeta e premio Nobel Giosuè Carducci, all’inizio del XX secolo. La tomba, che la gente del posto chiama affettuosamente “zucarira” per la sua forma, fu progettata e costruita alla fine del XVIII secolo dall’architetto Camillo Morigia. Ma prima – e dopo – le ossa del Sommo Poeta hanno avuto poco riposo.
Dante morì nel 1321, mentre si trovava a Ravenna. Probabilmente il progetto era di farlo seppellire fuori dalla chiesa di San Francesco, in un sarcofago monumentale offerto dal signore di Ravenna, Guido Novello da Polenta. Un secolo e mezzo dopo, nel 1483, Bernando Bembo, allora capo della città, fece rinnovare la tomba e commissionò allo scultore Pietro Lombardo il bassorilievo con le fattezze del poeta che ancora oggi vediamo all’interno del mausoleo.
Quello fu l’ultimo momento di pace che il povero Dante – o almeno il suo corpo mortale – ebbe per circa duecento anni. Firenze, che non era sempre stata particolarmente gentile con il suo figlio più famoso quando era in vita, si impuntò per riaverlo e onorarlo a dovere, almeno da morto. Ravenna non aveva intenzione di mollare la presa. Così, tra il XVI e il XVIII secolo, i resti di Dante sono semplicemente… scomparsi. O meglio, furono tenuti al sicuro dai monaci francescani di Ravenna.
Dove li tennero? Non lo sappiamo. A Ravenna? La vostra ipotesi è valida quanto la mia. Per due secoli, Dante non si trovò da nessuna parte. Questo fino al 1781-82, quando il già citato Camillo Morigia sviluppò l’attuale mausoleo, su commissione del cardinale Luigi Valenti Gonzaga.
Ma se pensate che la storia sia finita lì, ripensateci. Nel 1810 i francescani, che si occupavano del mausoleo, furono costretti a lasciare il loro convento a causa delle nuove norme napoleoniche contro gli ordini religiosi; per evitare che gli invasori decidessero di portare con sé a Parigi il padre della lingua italiana, i frati nascosero la sua urna prima di partire.
Circa 50 anni dopo la fine del dominio napoleonico in Italia, il 25 maggio 1865, alcuni muratori erano impegnati in alcuni lavori di ristrutturazione strutturale del convento quando si imbatterono, all’interno di una parete del Quadrarco di Braccioforte, in una scatola di legno senza pretese che avrebbero gettato nella spazzatura. Possiamo ringraziare uno studente del luogo, Anastasio Matteucci, che – come tutti gli studenti di quegli anni e degli anni a venire in Italia – conosceva bene il latino, se le ossa del poeta più rappresentativo della storia della lingua italiana non furono gettate come un vecchio sacco in un bidone: egli capì l’incisione sulla cassetta, che diceva che conteneva le ossa di Dante.
In quell’occasione, le ossa furono raccolte in un’urna di cristallo ed esposte in mostra per alcuni mesi. Poi, finalmente, furono sepolte nel mausoleo che tutti conosciamo. Al suo interno, oltre al bassorilievo quattrocentesco realizzato da Lombardo, troviamo anche una corona di bronzo e argento offerta dall’esercito italiano alla fine della Prima Guerra Mondiale e una piccola lampada votiva, riempita di olio d’oliva toscano, offerta ogni anno dalla città di Firenze, la seconda domenica di settembre, per onorare il suo amato poeta esiliato.
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