Never open an umbrella inside the house! Photo: © Vfedorchenko | Dreamstime.com

Many believe that scaramanzia is a thing of the  South, but nothing is further from the  truth. I am from the North-West and I, too, grew up knowing that opening an  umbrella inside the  house porta sfortuna and that a hat on the bed is nothing short of a  catastrophe. My grandparents — and our elderly in general — were pretty adamant these things were a no-no and, while always led by  a  fairly inquisitive mind, even as a child, I  never asked them why. Well, I think it’s time to find an answer. 

Let’s start with our umbrella.  Even the  Romans used similar objects, more than 2000 years ago, to protected themselves from both rain and sun. Thing is  the sun was a divinity for our ancestors, so the idea of opening an umbrella inside a home sounded a bit like trying to shade your abode from the protection of a god. 

But there are more explanations. 

Tradition tells us that, some centuries later, Medieval priests who were called upon the dying to bestow the Last Rites would symbolically open an umbrella over the head of the  sick: as umbrellas weren’t used a lot in those days, they began being associated with death, sadness and mourning,  hence the desire not to see  them open inside your home.  There is yet another explanation behind Italy’s visceral dislike of open umbrellas indoors and I reckon this is the one our elderly probably knew better: the  poorest people would use open umbrellas to cover holes in their roofs and stop the rain from entering their homes, so opening an umbrella inside was believed to attract negativity and poverty on the household. In the 19th century, then,  technology made umbrellas open automatically and  people began to fear getting hurt by them, especially if they were opened in confined spaces. It seems our dislike for open umbrellas at home, in the end, may have a very prosaic origin, indeed. 

Hats on beds are a no-no in Italy! Photo:© Jacksonmann | Dreamstime.com

Our ancestral fear of hats on beds is rooted just  as deeply in our heritage and  mores and it is believed to be associated to two important figures of our old social world: the village doctor and the parish priest. Once upon a time, doctors were  called home only when  the situation was really serious: their services costed money and many families could not afford them  on a regular basis. In other words, if the doc was at the door, it was pretty much sign someone inside was seriously  — and often irremediably —-  ill. In such emergencies, the doctor often bypassed the hall and kitchen and  went directly to the  patient’s bedroom, placing his hat — let’s remember it: gentlemen always  wore a hat! — wherever  it  was handier, even on the bed. And so, the image of a hat on a bed  became synonym of severe illness, of death and, by extension, of misfortune.  Another version of the same  story wants  priests in place of doctors: priests, too, were called to someone’s home when the Last Rites had to be given and in this case, too, the  necessity to rush  quickly to the dying’s bedside imposed no stops in other areas of house, but the bedroom. And so, their own tricorn would often end up on the bed, yet another ominous symbol of the  incumbency of death upon the  family. 

There  is another interesting tale that explains it all,  though, one that bring  us to the battlefield and  the  military world: it was, some say, common to place a soldier’s helmet on his casket if he died during battle and that’s where the idea that a headpiece being place somewhere were a person lies still means sorrow. 

Molti credono che la scaramanzia sia una cosa del Sud, ma nulla è più lontano dal vero. Io sono del Nord-Ovest e anch’io sono cresciuta sapendo che aprire un ombrello dentro casa porta sfortuna e che un cappello sul letto è a dir poco una catastrofe. I miei nonni – e i nostri anziani in generale – erano piuttosto irremovibili in materia, queste cose non andavano fatte e, pur essendo sempre stata guidata da una mente piuttosto curiosa, anche da bambina, non ho mai chiesto loro perché. Ebbene, credo sia giunto il momento di trovare una risposta.
Cominciamo con il nostro ombrello. Anche i Romani usavano oggetti simili, più di 2000 anni fa, per proteggersi sia dalla pioggia che dal sole. Il fatto è che il sole era una divinità per i nostri antenati, quindi l’idea di aprire un ombrello all’interno di una casa suonava un po’ come cercare di mettere in ombra la propria dimora rispetto alla protezione di un dio.
Ma ci sono altre spiegazioni.
La tradizione ci dice che, alcuni secoli dopo, i sacerdoti medievali, chiamati a impartire gli Ultimi Riti ai morenti, aprivano simbolicamente un ombrello sulla testa dei malati: poiché gli ombrelli non erano molto usati a quei tempi, iniziarono ad essere associati alla morte, alla tristezza e al lutto, da qui il desiderio di non vederli aperti dentro la propria casa. C’è poi un’altra spiegazione dietro l’avversione viscerale dell’Italia per gli ombrelli aperti in casa e credo che questa sia quella che i nostri anziani probabilmente conoscevano meglio: le persone più povere usavano gli ombrelli aperti per coprire i buchi nei tetti e impedire che la pioggia entrasse nelle loro case, così si credeva che aprire un ombrello all’interno attirasse negatività e povertà sulla famiglia. Nel XIX secolo, poi, la tecnologia ha fatto sì che gli ombrelli si aprissero automaticamente e la gente cominciò a temere di essere ferita da essi, soprattutto se venivano aperti in spazi ristretti. Sembra che la nostra avversione per gli ombrelli aperti in casa, alla fine, possa avere un’origine molto prosaica.
La nostra ancestrale paura per i cappelli sui letti ha radici altrettanto profonde nella nostra eredità e nei nostri costumi e si ritiene che sia associata a due figure importanti del nostro vecchio mondo sociale: il medico del villaggio e il parroco.
Un tempo i medici venivano chiamati a casa solo quando la situazione era davvero grave: i loro servizi costavano denaro e molte famiglie non potevano permetterseli regolarmente. In altre parole, se il dottore era alla porta, era segno che qualcuno all’interno era gravemente – e spesso irrimediabilmente – malato. In tali emergenze, il dottore spesso scavalcava l’ingresso e la cucina e andava direttamente nella camera da letto del paziente, mettendo il cappello – ricordiamolo: i signori indossavano sempre il cappello! – ovunque fosse più comodo, anche sul letto. E così, l’immagine di un cappello sul letto divenne sinonimo di grave malattia, di morte e, per estensione, di sventura. Un’altra versione della stessa storia vuole i preti al posto dei medici: anche i preti erano chiamati a casa di qualcuno quando si doveva impartire l’Ultimo Rito e anche in questo caso la necessità di correre velocemente al capezzale del moribondo non imponeva soste in altre zone della casa, se non nella camera da letto. E così, il loro tricorno finiva spesso sul letto, l’ennesimo simbolo minaccioso dell’incombenza della morte sulla famiglia.
C’è un’altra storia interessante che spiega tutto, ma che ci porta sul campo di battaglia e nel mondo militare: secondo alcuni, era comune mettere l’elmo di un soldato sulla sua bara se moriva durante la battaglia ed è da lì che viene l’idea che un copricapo posto da qualche parte dove giace una persona significhi dolore.


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