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Fabrizio Lelli, Professore Associato di Lingua e Letteratura Ebraica all'Università del Salento. Foto di David Wu
Il 27 gennaio si è svolta la Giornata Internazionale della Memoria, mirata a rievocare le atrocità naziste e fasciste dei campi di sterminio, che a tutt’oggi non hanno eguali in termini di ferocia e abominio. A Los Angeles, il Consolato italiano, l’IIC, l’ufficio regionale dell’American Jewish Committee ed il Museo dell’Olocausto hanno congiuntamente svolto una lettura pubblica dei nomi degli 8000 ebrei italiani, vittime dell’Olocausto. 
 
L’origine della giornata di commemorazione risale al luglio 2000, quando l’allora-Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, l’istituì, non solo per ricordare le vittime italiane dei lager, ma anche per celebrare coloro che, a rischio della propria vita, hanno tentato tutto il possibile, a volte con successo, per salvare i condannati da una morte certa. A partire dal 2005, l’ONU ha nominato il 27 gennaio Giornata Internazionale della Memoria dell’Olocausto.
 
Quest’anno si è ricordato un anniversario importante: i 70 anni dalla chiusura di quello che è il più terribile luogo di eccidio, il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau (Polonia).
Il lager è tristemente noto agli italiani, grazie anche alle preziose testimonianze raccolte da Primo Levi, nel suo romanzo autobiografico Se questo è un uomo.     
 
Le parole di Levi: “Un uomo che vede l’errore nel suo operare smette di essere un nemico”*, sono state citate dal Console Generale della Repubblica Italiana a Los Angeles, Antonio Verde.
 
Degna di nota è la rievocazione degli ebrei, scampati alle persecuzioni naziste nell’area mitteleuropea e balcanica trovando rifugio temporaneo nei campi di transito della Puglia, tenuta da Fabrizio Lelli, professore di letteratura ebraica all’Università del Salento, a Lecce. La conferenza, Profughi Ebrei in Puglia, svoltasi il 28 gennaio presso l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, è stata co-organizzata dall’UCLA Center for Jewish Studies e l’IIC, e resa possibile attraverso la generosità dell’UCLA Viterbi Program in Mediterranean Jewish Studies. L’evento è stato inoltre co-sponsorizzato dal Dipartimento d’Italiano presso l’UCLA.
 
A partire dal 2000, il professore ha portato avanti l’encomiabile progetto dell’università salentina,  raccogliendo documenti e testimonianze di quanti hanno avuto modo di “rinascere” in seguito al trauma indelebile della Shoà, nell’asilo di pace costituito dai campi di assistenza pugliesi, co-gestiti dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), insieme alle Forze Alleate.
 
Il coro di voci sull’esperienza in Puglia è unanimemente positivo, se si eccettua la testimonianza di Shmuel Mordechai Rubinstein, originario di Maltz presso Pruzhany.
 
Egli racconta con amarezza del suo arrivo a Santa Caterina, dove tutti i profughi stremati devono mettersi in fila per registrarsi e ricevere due coperte cucite, da imbottire di paglia per formare i loro “letti”. In generale, Shmuel enfatizza come ognuno al campo pensa unicamente a sé e non c’è assolutamente nessuno a cui potersi rivolgere in caso di bisogno. 
 
A Santa Maria di Leuca, molte unioni si sono originate, come quella tra Samuel Goetz, polacco originario di Tarnow, e Gertrude, austriaca nativa di Vienna, i quali si sono innamorati durante il soggiorno salentino e successivamente sposati a Los Angeles nel 1950.  
 
Diverso è il caso di Golda Elena Blanaru, nativa di Bucarest, arrivata il 17 novembre 1945, giorno del suo sedicesimo compleanno, al campo di transito di Tricase. In seguito ad una partita di calcio tra profughi e italiani, trasformatasi in rissa, viene organizzata una cena di riconciliazione, nella villa sede della mensa comune del campo. Durante il ballo che segue, la ragazza conosce l’italiano Fernando Sparasci e presto se ne innamora. I due si sposano con matrimonio civile, viste le differenze di religione.
 
Da allora, la Blanaru perde i contatti con la comunità dei profughi ebrei che non tollerano la sua unione con un non-ebreo.
Tempo dopo, cedendo alle pressioni da parte del suocero, Golda Elena riceve il battesimo e vengono celebrate le seconde nozze in chiesa.
 
Da allora, la donna è vissuta a Tricase, superando periodi difficili e faticosi. Nel corso degli anni, Golda è rimasta fedele alla sua religione ebraica, ma certa che la madre non avrebbe compreso, non le ha mai confidato di essersi battezzata.
 
Il conflitto interiore della Blanaru trova una significativa espressione nel sogno avuto in ospedale in seguito ad un serio intervento chirurgico: Per prima, la Madonna chiede a Golda di convertirsi, ma ella rifiuta.
 
Poi, è la volta di Gesù, ma ella rifiuta di nuovo. Infine, le appare la Stella di Davide che esorta la donna a seguirla ed ella accetta.  Il giorno seguente, Golda Elena Blanaru si sente sollevata e guarisce.
L’intero patrimonio prezioso di testimonianze è consultabile, sia in italiano che in inglese, sul sito: http://www.profughiebreinpuglia.it/
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