Voglia di innovare e fiducia nei mercati, ma soprattutto preparazione. Un gruppo di imprese piemontesi che insieme muovono 1.077 addetti e nel 2011 hanno fatturato oltre 206 milioni di euro, stanno “studiando” in una delle più prestigiose università americane. Fino a dicembre metteranno a punto una strategia di crescita internazionale alla UCLA Anderson School of Management – University of California. Un programma di crescita collaudato da oltre 10 anni di collaborazione con gli esperti del Global Access Program (Gap) che li accompagneranno in uno studio personalizzato del progetto di espansione della propria azienda.
Redigendo un business plan dettagliato, comprensivo di analisi finanziaria e del mercato, dell’organizzazione e delle modalità operative, anche attraverso interviste a potenziali clienti, si arriverà a delineare la nuova mission aziendale e a pianificare la penetrazione sui nuovi mercati. A fine lavoro, si passerà dalla teoria alla pratica: il business plan verrà presentato a Los Angeles a possibili investitori. In sintesi, economia applicata col supporto dei maggiori specialisti e la verifica delle ambizioni di business di fronte a una platea di partner commerciali qualificati. Un’esperienza difficile da fare in Italia, soprattutto per le imprese di medio-piccole dimensioni.
Tuttavia, nel clima economico attuale, l’internazionalizzazione rappresenta spesso l’unica valida alternativa alla fase di stallo che interessa molti settori e la potenziale molla di sviluppo del sistema Paese. Che sia la strada giusta lo dimostrano i dati.
Mentre consumi e Prodotto interno lordo diminuiscono, le esportazioni continuano ad aumentare. In Piemonte in particolare, nel 2011 sono cresciute del 12% rispetto al 2010 e anche i dati del I trimestre di quest’anno sono positivi: +5% rispetto al I trimestre 2011 (dati Unioncamere Piemonte).
Il Gap è un programma esclusivo, proposto ogni anno a un gruppo ristretto di 50 imprese di 10 Paesi, selezionate in base all’innovazione del loro prodotto. In Italia è promosso da Camera di Commercio di Torino e Promos Milano, in collaborazione con Unione Industriale di Torino, Associazione delle Aziende Meccaniche Meccatroniche, Associazione Piccole e Medie Imprese Torino, Istituto Superiore Mario Boella, Fondazione Torino Wireless e Centro Estero per l’Internazionalizzazione, con il supporto della Camera di Commercio italiana a Los Angeles.
Ad accompagnare in California le imprese selezionate, Francesca Natale responsabile del dipartimento commercio estero della Camera di Commercio di Torino. Ecco cosa ha detto a L’Italo-Americano:
Quando è iniziata la collaborazione con la UCLA?
Ormai sono più di 10 anni, è un’esperienza di lunga data. Finora abbiamo portato oltre 70 aziende torinesi che volevano sviluppare un mercato negli Usa e hanno potuto beneficiare di questo programma per capire come fare. Perché il mercato americano è sì importante, ma difficile. Quindi occorre presentarsi nella maniera più giusta, ragionata, raccogliendo evidenze, opportunità e strategie.
Spesso non basta essere ambiziosi né avere un prodotto innovativo. Per affrontare i mercati internazionali bisogna essere preparati. Quale approccio richiede il mercato Usa?
Sul mercato americano serve metodo, bisogna costruire una strategia precisa, sapere dove vuoi andare sul medio e lungo termine. Bisogna essere in grado di presentare a partner potenziali le value proposition dell’azienda. In Italia, da questo punto di vista, dobbiamo ancora imparare mentre a livello tecnologico ci siamo.
Chi partecipa al Gap? Qual è il tipo di aziende che può venire qui?
Aziende di tutti i tipi, essenzialmente piccole e medie, che vanno dall’Ict alla meccanica, all’automotive. Quest’anno ci sono anche aziende che operano nell’ingegneria dei tunnel, nei software, nelle telecomunicazioni.
Imprese che puntano sull’innovazione, la ricetta per superare la crisi e guardare oltre.
Sicuramente sì, su questo siamo avanti come Torino e come Piemonte. Siamo una delle regioni che in Italia spende di più in innovazione, ricerca e sviluppo. Le nostre aziende dal punto di vista tecnologico sono avanti. Leggevo un rapporto sulla competitività dei Paesi nel mondo e noi siamo al nono posto per market size, ma bisogna spingere sull’internazionalizzazione.
Tempo di bilanci. Il Gap in Piemonte funziona da 10 anni. Quali risultati?
Sicuramente l’interesse principale è aprirsi un mercato qui e molte aziende sono riuscite ad entrarci e oggi producono negli Usa. Per riuscire però, serve un cambio di mentalità e questo programma aiuta a ripensare la strategia dell’azienda, sostiene la crescita personale dell’imprenditore, a rivedere il modo di fare business.
La vostra esperienza si sta allargando anche alla provincia di Milano.
Stiamo cercando di fare sempre di più sinergia. Questo è un modello da esportare, un modo di crescere come impresa che va preso ad esempio. Qualche anno fa abbiamo esteso l’esperienza alle aziende della provincia di Milano attraverso la collaborazione con la Camera di Commercio e l’agenzia Promos. Per questo motivo oggi sono qui anche cinque aziende milanesi. Le 15 aziende italiane selezionate per il Gap su un totale di 53 aziende da vari Paesi del mondo sono una presenza forte, la conferma che le nostre aziende valgono. Tuttavia la strada da fare è ancora lunga. Alle nostre imprese serve soprattutto un’evoluzione gestionale.
La conferma nell’intervista a Bob Foster, direttore del programma Gap alla Anderson School della UCLA.
Come mai tante imprese italiane vengono qui alla UCLA a formarsi?
Quest’anno al programma partecipano 53 aziende di 9 Paesi diversi. Quindici sono italiane. Abbiamo lavorato con una settantina di imprese italiane negli ultimi 14 anni. Vorrei fare un paio di considerazioni in proposito: come molte imprese in giro per il mondo, anche quelle italiane stanno cercando di capire come esportare i propri prodotti. Poiché pensano di aver sufficientemente esteso i loro mercati in Italia e che ci siano altri mercati emergenti come il Brasile, la Cina o gli Usa, optano per l’estero. Ma non conoscono i mercati. Proprio lì noi acquistiamo valore, nel mettere i nostri studenti al lavoro su questi progetti di internazionalizzazione. La seconda considerazione. Quelle aziende, nel 50% dei casi, pensano di venire negli Usa solo perché credono di potere fare affari con 30 milioni di potenziali clienti oltreoceano, perché questo è un mercato “popolare” in cui venire. Ma questo non basta per poterlo conquistare, per trovare spazio.
Quale è il punto debole delle imprese italiane?
Una cosa che vedo, non solo in Italia, è che spesso i manager non sono sufficientemente interessati alla crescita. Hanno abbastanza denaro, abbastanza comfort e quel che sfortunatamente accade quando le imprese arrivano a un certo livello di benessere è che lo danno per scontato, non pensano più alla crescita. Invece, se vuoi vivere devi continuare a crescere e questo è quel che cerchiamo di fare qui: aiutare le imprese a imparare a crescere perché è una cosa sana da fare. Se non vuoi crescere, se vuoi restare una compagnia da 5 milioni di dollari per il resto della vita, non attrai talenti e non riesci a sfruttare pienamente le potenzialità dei tuoi prodotti. Il mercato globale oggi funziona così, è orientato alla crescita. Invece quando vengo in Italia vedo imprenditori molto focalizzati sul mercato interno. Vedo che la gente è molto conscia dell’approccio al mercato italiano, ai clienti, alle tasse ma se vuoi andare in Brasile devi conoscere e adattarti al modo di vivere locale. Per sopravvivere come compagnia devi essere focalizzato sul mondo non solo sul tuo Paese.
Serve sostanzialmente un cambio di mentalità.
Racconto un episodio interessante. Ho conosciuto un executive manager a Torino. Bella persona, buona compagnia, buoni prodotti ma si lamentava di non avere mercato. Gli ho detto: sei a un’ora di treno da Milano e Milano è 5 volte più grande di Torino. Perché non vai a Milano? Mi ha risposto: non conosco nessuno a Milano. Gli ho replicato: non vuoi fare affari con gente che non conosci? Vuoi vendere solo alla tua famiglia e ai tuoi amici? Questo è il mercato. Il nostro impegno è cercare di rendere gli executive manager consapevoli che devono sapere vendere in mercati che non conoscono.