“Sfizzicariello” è il nome di un progetto che un piccolo gruppo di volontari di Napoli è riuscito a realizzare e vincere grazie a un bando europeo sulle cooperative.
La cooperativa sociale è stata battezzata col nome Arte Musica e Caffè (Amc) ed è nata nel 2007 su iniziativa di un gruppo di famiglie fortemente motivate ad aiutare i propri congiunti e per promuovere l’inserimento sociale e lavorativo di soggetti svantaggiati psichici attraverso il loro coinvolgimento sia nella organizzazione di banchetti quali matrimoni, battesimi, feste e convegni (catering e banqueting) sia presso il take away e gastronomia “Sfizzicariello” in Corso Vittorio Emanuele a Napoli.
Per i lettori de L’Italo Americano, abbiamo incontrato Carlo Falcone, socio e ideatore della cooperativa.
Da quanti anni è in corso l’iniziativa?
Sette anni di cooperativa. All’inizio del 2004 eravamo famiglie che ogni tanto si riunivano per scambiarsi consigli, spontaneamente. Nel giugno del 2005 scoprii che c’era un bando per cooperative sociali. Io ero completamente a digiuno di normative europee. Insieme ad altri fratelli di ragazzi disabili decidemmo di tentare la stesura del progetto per ottenere un finanziamento. Lo vincemmo e riuscimmo ad avere 4 borse di lavoro per ragazzi. Le borse servivano a pagare gli operatori (psicologi, formatori) e un rimborso ai ragazzi.
Il difficile è iniziato dopo la vincita immagino…
Esattamente. Dopo la vincita del progetto e dopo che finirono i soldi, in parecchi si allontanarono. Rimanemmo in pochi, fu un momento molto difficile. I genitori dei ragazzi con disagio mi vedevano come un ragazzino (avevo 29 anni). Nonostante tutto ci autofinanziammo e costituimmo nel gennaio del 2007 la cooperativa sociale.
Da quanti diversamente abili è composta la cooperativa?
I soci della cooperativa sono una ventina, ma è in continua espansione. Il sessanta per cento dei soci sono persone con disagio, le cooperative sociali (almeno come la intendiamo noi) non esistono in Italia. Ce n’è una emiliana, ma si sostiene grazie ad aiuti pubblici. Sono stato invitato più volte come “docente” per portare la mia esperienza di coo-perante. Il mio maggiore vanto è quello di non essere finanziato dagli enti pubblici.
Come si svolge la vita all’interno della cooperativa?
I nostri soci con disagio psichico hanno un contatto diretto col pubblico, lavorano sei ore al giorno e si occupano di tutto: cucinano, curano la pulizia del negozio, servono i clienti… un vero e proprio lavoro a continuo contatto col pubblico quindi non ci sono barriere.
Che impatto ha avuto questo progetto sulla cittadinanza? Quante barriere ci sono e quali criticità avete riscontrato?
Mi scontro quotidianamente con idee preconcette e conservatrici, che chiedono di tenere il disabile, il diverso, ai margini. Proprio oggi mi ha fatto visita il padre di un ragazzo affetto da disturbi psichici e quando ha visto il negozio, una struttura aperta, ha espresso contrarietà. Pensava di poter mettere il figlio tra quattro mura e secondo la sua mentalità non andava bene per il ragazzo perché è un luogo aperto. Si aspettava un centro dove i ragazzi sono rinchiusi, senza nessun tipo di contatto col mondo esterno.
E ragazze col disagio ce ne sono?
Questo è un altro neo, dato che la donna è ancora vista come colei che deve stare a casa a fare i servizi. No, non abbiamo donne disabili in cooperativa.
In negozio c’era Enrico, da sette anni è con la cooperativa. Ama dipingere ed ha donato splendidi disegni al negozio. Quali attività si svolgono?
Le nostre attività si dividono in 2 fasi; la prima un incontro di 3 ore una volta a settimana più una volta al mese con lo psichiatra dal nome PraticaMente, dove i ragazzi iniziano a conoscersi tra loro. La seconda, in cui vengono una volta in più a settimana, in cui iniziano a cucinare e a “imparare” le attività che si svolgono nel negozio. Si fanno varie attività ludiche: teatro, pittura, musica presso una sede Scout. Siamo alla ricerca di un locale un poco più ampio dove concentrare le nostre attività.
In una lettera scritta al compimento del settimo anno di vita della cooperativa fa un bilancio di questa inziativa.
Davvero non sapevamo a cosa andavamo incontro, inconsapevoli di tutte le complicazioni burocratiche che questa nostra scelta comportava, ma si percepiva una felicità di fondo di molti di noi che sapevano che saremmo diventati protagonisti del nostro futuro. Ho imparato che fare l’imprenditore e soprattutto del sociale lo si apprende facendolo, e che le infinite e a volte insormontabili avversità si possono provare a superare soltanto con l’intelligenza e l’umiltà di imparare, il continuo desiderio di innovare e soprattutto con l’amore in ciò che si fa. Le nostre scelte e linee guida sono state: aprirci alle persone senza intermediari, rispettare la dignità di chiunque, non chiedere finanziamenti pubblici e capovolgere il concetto di integrazione socio-lavorativa nel senso che le persone con disagio psichico vengono curate non attraverso una classica struttura sanitaria bensì una semplice attività lavorativa.
Si spieghi meglio.
Spesso fisso appuntamenti con familiari che vogliono inserire nei nostri percorsi riabilitativi i propri congiunti e più volte è capitato che non riuscivano a trovare il locale in quanto non si aspettavano una rosticceria bensì un centro socio-sanitario. Una volta entrati non credevano che i commessi e i cuochi fossero persone con disabilità uguale se non superiore a quella dei propri figli che ritenevano incapaci di far qualunque cosa. Per raggiungere questo risultato, spiego sempre, è importate soprattutto credere nei propri figli, in se stessi e nella attività della cooperativa altrimenti è difficile che ci siano dei risultati. Infatti, non appena viene meno uno di questi fattori la riabilitazione non riesce più.
E da un punto di vista finanziario?
Voglio sottolineare l’aspetto economico-finanziario. Ci sosteniamo solo e soltanto con i proventi della nostra attività e di qualche banchetto che organiz-ziamo a prezzi competitivi. A volte non ci hanno neanche pagati, vedi il Comune di Napoli. Ci paghiamo le utenze, il fitto del locale, i fornitori, le tasse e i consulenti. Quello che ci rimane ce lo distribuiamo in funzione del nostro lavoro. Facciamo salti mortali per far crescere il numero dei nostri clienti. Sin dall’inizio mi fu chiaro che se non avessimo fatto dei prodotti di qualità e se i nostri servizi non fossero stati di un certo livello nessuno ci avrebbe aiutato.
I contributi liberali per sostenerci sono stati davvero pochi e ancora oggi ringrazio con grande affetto chi ce li ha fatti. Se andiamo avanti è perché sappiamo lavorare bene e impariamo dai nostri errori e non perché sostenuti da contributi pubblici e privati. Anche se ogni tanto controllo il conto della cooperativa e spero in qualche sostenitore anonimo. Mi auguro che nonostante la forte crisi dei consumi che stiamo attraversando, la nostra storia non si interrompa. Buon compleanno a tutti noi.