C’è un momento nella vita in cui ci sentiamo pronti a prendere il mare. Abbiamo la capacità di mantenerci a galla, le nostre vele desiderose di vento, le nostre emozioni esaltate, forti e potenti. Ci sentiamo i capitani della nostra imbarcazione (e con il tempo finiremo per scoprire che ne saremo anche i marinai…).

1… 2… 3… salpiamo!
 
La sensazione di navigare è meravigliosa: disegniamo e interpretiamo le mappe, seguendo la nostra rotta. Ci piace sentirci liberi, senza limiti in mezzo a tanta immensità, con tutto da esplorare, ma… saremo capaci di sopportare tanta autonomia?
 
Ho paura che sia negli affetti dove questa dualità influisce di più. Partiamo disposti a percorrere migliaia di miglia, a liberarci da qualsiasi legame, ma quando ci piace un posto —anche solo un po’— senza rendercene conto cominciamo a gettare l’ancora. I naviganti dicono che ancorarsi non è un compito facile; che per assicurare l’imbarcazione bisogna valutare le condizioni generali del vento, la forza delle maree, il tipo di fondale, la profondità, ecc. Solo così l’imbarcazione non soffrirà e non andrà alla deriva.
 
Faremo lo stesso con i nostri affetti? Valuteremo attentamente la situazione? Ci attaccheremo a necessità quasi egoiste? Taglieremo le cime bruscamente per continuare il viaggio? Ci attaccheremo alla prima circostanza per paura di una solitudine esagerata? Ci rifugeremo in ciò che crediamo possa essere amore?
 
Sarebbe bene che ogni capitano ogni tanto desse un’occhiata alle sue carte nautiche, che identificasse i punti difficili e valutasse le zone di ancoraggio dato che si tratta di informazioni importanti per futuri cambi. Sarebbe bene che ognuno di noi come capitano della propria imbarcazione capisse che un rifugio è solo questo, un posto per proteggerci, ma se cambiano certe circostanze, nessuno vorrebbe essere sempre rifugiato. Ed ecco una nuova sfida, è tempo di salpare e anche questo ci sembra difficile.
 
Abbiamo percorso mari agitati, abbiamo goduto della loro calma e resistito le tempeste. Iniziare il ritiro in buona forma sembra difficile come ancorarsi. Facciamo sforzi smisurati (lottando con le nostre ancore); difficilmente ci comportiamo cortesemente e la cosa peggiore è che la maggior parte delle volte roviniamo tutto, compreso il famoso incrociarsi di catene di altre ancore.
 
Pronti per partire, è ora di continuare, l’imbarcazione è pronta, l’equipaggio è a bordo e la rotta la segna il nostro proprio orizzonte. Ed è lì dove scopro che navigare liberamente non è lo stesso che navigare senza meta o alla deriva. E scopro anche che amare liberamente vuol dire gettare e levare l’ancora con precisione e saggezza.

Receive more stories like this in your inbox