San Francisco e Capannori sono due città che differiscono per molte cose, ma che hanno una comunanza inaspettata quanto importante: sono entrambe impegnate a diventare città ecologiche e a trovare la loro sussistenza attraverso un sistema basato sul riciclo e sul riutilizzo dei prodotti. 
 
Ciò che accomuna le due città da un capo all’altro dell’emisfero pare essere un elisir di lunga vita (se si intendono lungimiranza e longevità in senso ampio), capace di renderle sempre giovani o, è il caso di dire, “sempre verdi”. Il pensiero che sta alla base della politica cittadina di entrambe è chiamato zero waste, tradotto in italiano letteralmente con “rifiuti zero”, e si riassume in tre concetti concatenati: riduzione dei rifiuti, riciclo delle materie, riutilizzo dei materiali.
 
Il comune di Capannori, circa 45 mila abitanti nella provincia di Lucca, si è contraddistinto nell’ultimo decennio per aver adottato proprio la strategia dei rifiuti zero. Il merito di aver creduto fortemente e di aver conseguentemente aperto la strada a questo pensiero è stato Rossano Ercolini, un insegnante della cittadina della lucchesia impegnato nella politica ambientale, che da anni si batte contro la facile soluzione degli inceneritori e che allo stesso tempo si impegna nella realizzazione di ambienti (e anche di una mentalità) sostenibili. 
  Rossano Ercolini vincitore del prestigioso Goldman Enviromental Prize 

  Rossano Ercolini vincitore del prestigioso Goldman Enviromental Prize 

 
La dedizione di Ercolini, che spesso lo porta a fare conferenze nei comuni italiani insieme al fondatore della zero waste, il Prof. Paul Connett, è stata “ripagata” nel 2013 con il prestigioso “Goldman Environmental Prize” consegnatogli a San Francisco.
 
Perché proprio a San Francisco questa strategia, se così si può chiamare, ha trovato una piena quanto inattesa realizzazione, facendo di una delle metropoli più popolose e conosciute degli Stati Uniti un modello di città “sostenibile”. 
 
Quando si parla di sostenibilità, di economia verde o di bioeconomy si pensa spesso a singoli casi, ad aziende o iniziative che, soprattutto dall’inizio del nuovo millennio, si sono affacciate sul mercato per promuovere o vendere materiali e prodotti ecologici. Non si pensa invece, o per lo meno raramente, a un’intera struttura, come può essere una città, che sia propriamente ecologica.
 
Zero waste sembra un motto propagandistico e forse utopico. È riuscito invece a imporsi non solo come grido di cambiamento, ma come efficace metodo di miglioramento della vita cittadina. Le città “pioniere” di San Francisco e Capannori, così come tutte le altre che nel mondo lo hanno adottato, si prefiggono obiettivi concreti pluriennali circa il raggiungimento di un’economia a spreco ridotto o inesistente (e le percentuali raggiunte sul riciclo sono spesso al di sopra delle aspettative).
 
 Il motore di questa strategia è molto semplice, come dice già il nome, e si basa su un’unica idea: quella di non creare – perché qui, sì, la creazione è tutta nostra – rifiuti. Ma non produrre rifiuti non significa smettere di produrre in sé, vuol dire semplicemente impegnarsi a reimpiegare. È in fondo l’attuazione più prossima del vecchio concetto per cui tutto si trasforma, o meglio, tutto si può trasformare.
 
Ecco allora che insieme alla differenziata, alla raccolta porta a porta, all’incentivazione di installazioni ecologiche e alla riduzione degli sprechi delle risorse, entra in atto un nuovo concetto: il riutilizzo. E questo nasce proprio là dove il consumo dei beni e la logica dell’usa e getta hanno preso vita, dove si guarda, in genere, alla fruizione del prodotto presente. 
 
Se San Francisco è uno dei simboli dell’America e del consumismo, essa è anche una città che si è impegnata a rinnovarsi e a guardare alla bellezza in termini non solo di conservazione ma di rinascita ogni volta possibile, proprio come una fenice che questa volta risorge, occorre sottolinearlo, non dalle ceneri.
 
La strategia “rifiuti zero” e le città che hanno creduto e attuato il suo potenziale fanno nutrire la speranza che quel circuito di frecce divenuto simbolo del riciclaggio non si chiuda mai e che, al contrario, possa portare a investire su una ricerca delle tecniche verdi ampiamente auspicabile.
 

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