Warrior A (Photo: Danilo Mongiello/Dreamstime)

At the Metropolitan Museum in New York, there are two perfect copies of the Bronzi di Riace. Actually, no: they are just like they were when they had been made. First of all, they are in colors, rejuvenated, free from all those marks that time and the sea where they were found 50 years ago left on them. Every warm shade of their bronze shines and glows: they are elegant, well-built, their muscles firm, just like they had been conceived to be.

The exhibit offers a beautiful opportunity to discover them. It gives a form to our imagination, it offers us knowledge we didn’t have, just like a 3D headset does when we stand in front of the ruins of a Greek temple. Technology recreates it for us, adding columns, pedestals, beams, and even paintings. With the naked eye, we only see stones and a perimeter, barely visible among the shrub; with technology, we can go back in time and see it the way it was in all its beauty, with its marbles, friezes, entablatures, and peristasis. 

The Bronzi di Riace exhibit does the same thing, it gives us works of art the way they were supposed to be. Augmented reality is applied to sculpture.

Greek and Roman sculptures used to be colorful, painted in vivid hues, and richly decorated. Chroma: Ancient Sculpture in Color reveals to us ancient polychromy and shows us the world through the eyes of our Greek and Roman ancestors. 3D imaging and rigorous art history research aren’t neither a faking nor substitution of the original; rather, they are a very interesting cultural experience. Colors were one of the most visually striking characteristics of ancient statues, which went irremediably lost. Basically, we are used to seeing the past in the muted, neutral tones of stone, but in truth, it was incredibly colorful. Sword-and-sandal movies which, with all those bright details, seem fake to us, a falsified reconstruction of reality, are in fact much closer to the truth than we’d expect. Habit took away from us the color dimension of ancient works of art.

When presenting the Met exhibit, Sean Hemingway, head of the Greek and Roman art department, said: “Culture has no boundaries and we are happy to participate virtually in the celebrations for the 50th anniversary of the Bronzi di Riace’s discovery. The warriors’ spectacular reconstructions by Vinzenz Brinkmann and Ulrike Koch-Brinkmann are the central element of the exhibit,” which will be open until March 2023. The exhibit includes 17 reconstructions created by the Liebieghaus Polychromy Research Project and some 60 other sculptures from the Met collection, presented with new scientific analysis about their original colors.

Hemingway, who specializes in ancient bronze sculpture, says he’ll never forget the first time he’s seen the Bronzi, at the Museo Archeologico di Reggio Calabria: “The emotion they give you and their extraordinary beauty could be compared to a poem by Pindar or Virgil, to a sculptural masterpiece by Michelangelo or Gian Lorenzo Bernini. They give us an idea of the levels ancient Greek artists could reach.” It’s all true: you’re mesmerized and bewitched because the two warriors have an incredible appeal. They tell us how the ideal of Beauty has always been part of the Italian peninsula. The origins of culture are the guiding line of all that happened after, the canon that has been inspiring – since the beginning of times – the development of Italian art.

The reconstructions presented at the Met are verisimilar copies, but they don’t have the same power as the originals. Yet, they are important for many reasons. Among them, Hemingway highlights one in particular: “Many of the visitors we’ll have in the next eight months, probably won’t be familiar with the Bronzi, but after our exhibit, perhaps, they’ll feel like visiting Italy and see the originals, because they are two of the most important works of art we inherited from antiquity, and they are in almost perfect conditions.” This statement tells us two things. First of all, it’s a summary of every exhibit’s meaning: knowledge makes a difference, it attracts us, influences our future choices, and offers us a new way to look at things, even the way we plan our holidays. The second is that, for real, culture has no boundaries. On the East Coast – which is so far from Calabria, the home of the Bronzi – thanks to the technology that, today, can recreate the emotional experience of the past, culture in all its forms means enrichment and growth. Then, of course, there is the invitation to visit Italy: no reproduction is quite like the original and the Bronzi truly deserve to be seen in the version history gave us. Between the signs of time, we can recognize the votive context in which they were created, when statues were placed in temples and on acropolises as a dedication and an offering. We can also witness the skills and ingenuity of the artists that made them. Most of all, looking at the Bronzi helps us discern the ideals of Beauty and Art the past gifted to us, but also appreciate the mysterious works of ancient Fortune: thanks to it, 50 years ago exactly, in our South so enamored with the sea, Humanity rediscovered, between sand and fish, the two Bronzi di Riace, some 700 feet from the coast.

Al Metropolitan Museum di New York sono esposte due copie perfette dei Bronzi di Riace. Anzi no, sono uguali a come dovevano essere quando furono realizzate. Tanto per cominciare sono a colori, ringiovanite e private dei segni lasciati dal tempo e dal mare da cui furono ripescate 50 anni fa. Lucide e splendenti nelle sfumature calde del bronzo, eleganti, fisiche e toniche come volevano apparire.

La mostra fa un lavoro bellissimo di svelamento. Dà corpo all’immaginazione, riempie un vuoto informativo. Esattamente come fa un visore 3D davanti ai ruderi di un tempio greco. La tecnologia ce lo ricrea aggiungendo le colonne, i basamenti, gli architravi e persino i dipinti. A occhi nudi vediamo solo blocchi di pietra e un perimetro tracciato a terra fra cespugli e pietre. Indossando le lenti della tecnologia torniamo indietro nei secoli e lo rivediamo com’era, tirato a lucido tra marmi, scanalature e fregi, con trabeazioni e peristasi. La mostra fa esattamente lo stesso: ci restituisce opere e sculture come dovevano essere. Una realtà aumentata applicata alla statuaria.

L’antica scultura greca e romana era un tempo colorata, vivacemente dipinta e riccamente adornata con ornamenti dettagliati. “Chroma: Ancient Sculpture in Color” svela i retroscena della policromia antica e ci fa vedere il mondo con gli occhi di Greci e Romani. Imaging 3D e una rigorosa ricerca storica dell’arte non sono una falsificazione né una sostituzione dell’originale ma un’esperienza culturale molto interessante. Perché la colorazione era una delle caratteristiche più evidenti e marcate delle opere del passato che è andata persa. In pratica siamo “erroneamente” abituati a vedere il passato nelle tonalità neutre della pietra mentre era coloratissimo. I film kolossal, che con tutti quei dettagli colorati, ci sembrano finti, ricostruzioni falsificate quando in realtà sono molto più realistici di quanto non ci aspetteremmo. E’ l’abitudine che ci ha reso privi della dimensione colorata che avevano le opere antiche.

Presentando la mostra al Met, il responsabile del Dipartimento di arte greca e romana Sean Hemingway, ha detto: “La cultura non ha confini e siamo entusiasti di partecipare virtualmente alla celebrazione del 50° anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Le spettacolari ricostruzioni dei guerrieri di Vinzenz Brinkmann e Ulrike Koch-Brinkmann sono un elemento centrale della mostra” che sarà aperta fino al marzo 2023 presentando 17 ricostruzioni del Liebieghaus Polychromy Research project e circa 60 sculture della collezione del Met, molte accompagnate da nuove analisi scientifiche sulla policromia originale.

Da studioso specializzato in scultura antica in bronzo ha detto che non dimenticherà mai la prima volta che ha visto i Bronzi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, “l’emozione che provocano e la loro straordinaria qualità potrebbe essere paragonata a una poesia di Pindaro o Virgilio o a un capolavoro scultoreo di Michelangelo o Gian Lorenzo Bernini. Ci danno un’idea chiara del livello che gli artisti del bronzo della Grecia classica potevano raggiungere”. Ed è proprio vero. Si resta ammirati e ammaliati. I due Bronzi hanno un fascino incredibile. Ci raccontano come l’ideale della bellezza è da sempre nella storia della penisola. Le origini della cultura sono la linea guida di tutto lo sviluppo successivo, un canone che da sempre ispira l’evoluzione artistica italiana.

Le ricostruzioni presentate al Met, anche se sono repliche verosimili non possono trasmettere la stessa potenza degli originali ma restano comunque importanti. Tra i vari motivi Hemingway ne segnala uno particolarmente interessante: “Molti di quanti visiteranno nei prossimi otto mesi la mostra non conoscono i Bronzi ma dopo la mostra, avranno forse voglia di intraprendere un viaggio in Italia per vedere gli originali perché sono due delle più grandi opere d’arte sopravvissute quasi intatte dall’antichità a oggi”. L’affermazione ci dice due cose. La prima riassume il senso di qualsiasi mostra: la conoscenza fa la differenza, affascina, orienta le scelte future, porta a vedere diversamente le cose, anche a programmare le vacanze in funzione di opere artistiche. La seconda è che davvero la cultura non ha confini e che dalla East Coast, lontanissima dalla Calabria che ospita i Bronzi, o attraverso la tecnologia del terzo millennio che ricrea l’esperienza emozionale dei millenni passati, contribuisce in ogni sua manifestazione a costruire un bagaglio prezioso. Poi certo, c’è l’invito a visitare l’Italia: qualsiasi riproduzione non è mai l’originale e i Bronzi meritano seriamente di essere visti nella loro antichità, nella versione che ci ha consegnato la storia perché tra le rughe del tempo non c’è solo la possibilità di collegarle al contesto votivo originale quando le statue venivano posizionate nei templi e sulle acropoli come dedica e omaggio, o di comprendere la maestria degli artisti e il livello della cultura che le ha prodotte. Si colgono soprattutto gli ideali di bellezza e arte che ci hanno consegnato i secoli passati, ma di percepire le trame misteriose dell’antica dea Fortuna che ha permesso, esattamente 50 anni fa, a un sud appassionato di immersioni di scoprire tra sabbia e pesciolini i due Bronzi di Riace a 200 metri dalla costa.

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