Bertolucci ritorna in California; non per una nuova produzione cinematografica, ma a seguito della lunga storia d’amore che lo lega ai cinefili d’oltreoceano.
I suoi film li si può leggere come opere d’arte; la poesia ne è il motore produttivo, quella semplice ma intensa, che dallo scorso venerdi, fino ai primi di novembre, possiamo goderci sulle tele del Billy Wilder Theater di Los Angeles.
Grazie anche a IIC, Museum of Fine Arts, Huston, UCLA Film and Television Archive, and Cinecittà Luce, in collaborazione con i Consolati Generali d’Italia a Los Angeles e Houston, possiamo ora percorrere, in dodici proiezioni, trentacinque anni di cinema bertolucciano.
Dopo aver mosso i suoi primi passi con Pasolini nel 1961, Bertolucci si è imposto tra i maggiori esponenti del cinema italiano, raccogliendo consensi e premi durante tutta la sua carriera. Già nel 2011, aveva ricevuto al “Festival de Cannes” la prestigiosa Palma d’Oro, per le sue opere sempre così intimiste ma allo stesso tempo monumentali: da “Prima della Rivoluzione” (1964) a “Novecento” (1976), dal “Conformista” (1970) a “L’Ultimo Imperatore” (1987). Il suo impegno politico e sociale, sostenuto da un profondo lirismo e una messa in scena così precisa ed elegante, lascia ai suoi film un posto singolare nella storia del cinema mondiale.
Il Billy Wilder Theatre di Los Angeles ha appena inaugurato il secondo “round” della retrospettiva su Bernardo Bertolucci. Basta il primo film a ricordarci perché un regista così meriti una rassegna tutta sua nella città del cinema.
“Little Buddha” richiude in sé tutte le caratteristiche bertolucciane, e ancora vent’anni dopo la sua uscita, rimane un capolavoro di attualità. Bertolucci narra contemporanemente due storie: quella di Jesse, un bambino di Seattle, reincarnazione di un amato Lama, e quella del principe Siddhartha, vissuto 2500 anni fa, che diventerà la personificazione storica di Buddha.
Non solo storie di vite diverse, ma simboli di un confronto tra l’Oriente e l’Occidente, tra la spiritualità e il materialismo. “Cambiate le vostre menti”, ecco il messaggio dell’opera. Le nostre nevrosi occidentali sono un freno alla fioritura personale, alla libertà interiore. Uscire da questa gabbia che ci siamo creati è la cosa più difficile da fare, ma è la chiave di tutto.
La lentezza e la purezza del film ci permettono quasi di assaporare per un attimo un’altra possibilità, lasciandoci da soli con la nostra coscienza nel buio della sala. Dal nulla e dalla distruzione tutto può nascere e rinascere; “la fine è l’inizio”.