A pranzo con Dario D’Angelo con una bottiglia del suo premiato Montepulciano d’Abruzzo “Daris”, lo stesso giorno in cui il quotidiano Il Messaggero riporta: “Export in calo, si salvano vino e pasta”.
 
D’Angelo esporta i suoi vini etichettati Dario D’Angelo in tutto il mondo, ma con particolare successo negli Stati Uniti, specialmente le bottiglie “magnum” (di 1,5 litri) importate in esclusiva da una società di imprenditori italiani a New York.
 
“Io e l’importatore Usa, conosciuto ad una fiera, abbiamo iniziato le attività negli stessi anni”, racconta D’Angelo. “In principio ho investito tanto sugli Usa al punto di non guadagnarci nulla, poi però i risultati sono arrivati ed i nostri vini lì ora sono molto apprezzati”.
 
A tavola presso l’agriturismo Villa Clesia, fuori Giulianova, in Abruzzo, poco distante dai suoi vigneti e dal suo vinificio, D’Angelo spiega a L’Italo-Americano come da giovane di famiglia agiata era piuttosto irrequieto, fino a quando, dopo il servizio militare nei paracadutisti (imposto da uno zio generale), non scoprì, da astemio, la passione per il vino.
 
Chiese a suo padre (un chirurgo) di concedergli i terreni della famiglia nelle colline giuliesi che guardano sul mare e verso la metà degli anni 70 si mise a produrre vino, con l’aiuto di tecnici veneti e sempre con un occhio all’esportazione, tanto da arrivare a ricevere oltre 50 premi da paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Australia e Usa. 
 
Ora Amazon.com descrive la Dario D’Angelo come “la più vasta tenuta privata in Abruzzo”.
Quindi un business non dettato dalla necessità ma dalla passione. Una passione che, come indicato da Il Messaggero, aiuta l’economia italiana, ed in particolare quella abruzzese. 
 
L’unico rimpianto è di essersi troppo “innamorato di questo business, seppur io consigli a tutti di non innamorarsi mai della propria azienda perché si rischia di perdere tanti soldi”.
 
Ora D’Angelo con i suoi 10 tipi di vino, vuole espandersi in mercati molto impegnativi come Messico e Venezuela, mentre metterebbe il Canada in mano a suo figlio che vive poco distante da Toronto.

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