La famosa statua del Sior Rioba con il naso ‘portafortuna’ in metallo nelle fondamenta dei Mori (Ph Luca Ferrari)

Ah, la nobile arte del commercio. Attenzione però a non approfittarne. Per informazioni, chiedere ai Mori “pietrificati” di Venezia.
Il sestiere di Cannaregio conserva ancora oggi quel fascino di loco veneziano autentico, mai troppo abusato dai forestieri. Un grosso peccato per loro. Non solo potrebbero scoprire una parte della città che l’omonima Strada Nova non è minimamente in grado di offrire, ma soprattutto perdono l’occasione di cimentarsi con le antiche leggende e già che ci sono, accaparrarsi anche un po’ di buona fortuna. Vi ho incuriositi? Procediamo allora.
Una placida passeggiata tra Baia del Re, Fondamenta degli Ormesini e l’area di Sant’Alvise, ed ecco che tutto quello che credevate di sapere su Venezia, assumerà un nuovo sapore.

Pochi negozi. Nessuna traccia finalmente delle paccottiglie globalizzate. Solo masegni e canali. Solo Venezia e i veneziani nel loro vivere quotidiano. A pochi passi dalla maestosa chiesa della Madonna dell’Orto c’è il cosiddetto Campo dei Mori. Giusto pochi metri sull’omonima fondamenta, un ponte e ci siamo. Nel campo s’incontrano subito le quattro statue, incastonate nel celebre Palazzo Mastelli del Cammello (così chiamato perché vi è raffigurato codesto animale), realizzato proprio dalla famiglia Mastelli di cui facevano parte i tre fratelli Rioba, Sandi e Alfani, chiamati “Mori” poiché provenienti dalla Grecia, e più specificatamente dal regno della Morea, l’attuale Peloponneso.

Le cronache tramandano che questi signori fossero sì, dei gran affaristi, ma troppo spesso approfittassero delle loro doti per truffare i malcapitati, non solo vendendo merce scadente a un prezzo esagerato, ma anche attraverso la loro banca con la quale facevano autentiche frodi. Un giorno però, scelsero il cliente sbagliato. La vittima era infatti una signora veneziana molto religiosa che una volta turlupinata, pregò Maria Maddalena per, diciamo così, “fargliela pagare”. La santa le venne in soccorso, e una volta assunte sembianze umane, si presentò dai Mori per acquistare delle stoffe. Mai parole proferite dai commercianti furono più sbagliate, e quando nell’atto di convincere la donna, giurarono sul Padre Eterno che si sarebbero trasformati in pietra se quella non fosse stata la migliore merce di tutta Venezia, detto fatto, i tre fratelli furono tramutati in pietra, incluso il loro fedele servitore. Da allora in campo dei Mori è possibile vedere le statue di quei disonesti commercianti incastonati nel palazzo, col Sior Rioba, ad angolo. La più famosa delle statue perché, negli anni a venire, il naso fu staccato e sostituito da un pezzo di ferro. Da allora, come avviene per esempio con la fontana del Porcellino a Firenze dove è tradizione carezzare l’animale per avere fortuna, così avviene con il naso di Rioba. Sempre nei decenni a venire, la statua divenne anche epicentro delle proteste contro il Governo, e su di essa venivano attaccati poemi, lettere, biglietti satirici. La sua fama crebbe a tal punto che nel 1848 venne fondata la rivista giornalistica “L’ombra de Sior Antonio Rioba”, consacrandolo così a imperitura memoria.

Le avventure legate alla statua dei Mori non finiscono qui. Nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2010 , la statua del Sior Rioba subì un brutale atto vandalico e fu decapitata. Le ricerche furono immediate e per fortuna la testa venne ritrovata due giorni dopo in Calle de la Rachetta, poco distante. Fu dunque restaurata, ritornando presto al suo posto.
Il sole splende a Venezia. Gli effetti del covid sono ancora visibili ma la città comincia, in questi ultimi giorni di maggio, a popolarsi dei primi turisti.
Ho deciso di fare una passeggiata a Cannaregio e visto che anche il 2021 sarà un anno economicamente complesso, un piccolo aiutino dalla buona sorte mi farebbe proprio comodo. Il campo è vuoto. Giusto una persona in velocità, e ben distante, si diletta con la corsa. Sono proprio davanti al Sior Rioba.

Lo osservo e mi sembra proprio che abbia lo sguardo infastidito, come se la mia presenza gli desse a noia. Comprensibile, penso. Se fossi pietrificato da secoli, anch’io sarei di pessimo umore.
L’occhio intanto viene attirato da qualcosa di diverso, ridondante. Al numero civico 1881 della Fondamenta dei Mori, una lapide ricorda la storica e nobile dimora, bella e con tanto di trifora, di uno dei migliori pennelli della Serenissima: Jacopo Robusti detto il Tintoretto. Mentre sono lì a ripensare a tutte le opere di uno dei più grandi esponenti della scuola veneziana e probabilmente l’ultimo grande pittore del Rinascimento, dalle tele di San Rocco a quelle nella Gallerie dell’Accademia e la pala dell’Ateneo Veneto, lì vicino un’altra statua attira la mia curiosità. Più piccola rispetto ai fratelli mercanti, raffigurante Ercole con una clava.
Sarà mica stato pietrificato anche lui come i Mori? Avrà a che fare col pittore veneziano? Questa è un’altra storia. Un’altra leggenda che presto vi racconterò.


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