A slice of sardenaira (Photo: Alexander Mychko/ Dreamstime)

NapoletanaRomana and al taglioMargheritacapricciosa and quattro stagioni: of course, we are talking about pizza. But while these varieties are known across the globe, they are far from being the only ones, and I am not only speaking about toppings. If it’s true that pizza is a quintessentially Neapolitan dish – so much so that Neapolitan pizza-making received UNESCO recognition – we shouldn’t discount its many declensions and forms, in every region of Italy.

Now, we all know the basics, right? Pizza “Napoletana” has a fluffier crust, with nice, raised edges, which sometimes you get filled with cheese. Pizza “Romana” has a thinner, crunchier crust, and it’s usually more commonly found in pizzerias across the Northern regions – or so my experience taught me!

But Sicily, Sardinia, and Liguria have something to say about pizza, too, even though not many outside of these regions may be aware of it. Let’s start from the Northernmost of them, sunny and fragrant Liguria, the land of pesto and focaccia, of trenette, lemons and … sardenaira. This thick, served-by-the-slice delicacy originates from the town of Sanremo, on the Riviera dei Fiori, but it has become popular across the region and you can even find it in many bakeries of neighboring Piedmont. Some consider it more of a loaded focaccia rather than a pizza, but the deliciousness remains the same. The first sardenaira was baked sometimes in the early 1500s, after Colombo brought tomatoes back from America and was, apparently, called pizza d’Andrea (or “pissandrea”), apparently in honor of Admiral Andrea Doria who, in those times, was a big name in the politics of the Republic of Genoa. Sardenaira’s crust is thick and fluffy like that of focaccia, and it’s topped with a flavorful tomato sauce enriched with salted anchovies, Taggiasca olives, capers, shallots and, of course, olive oil. The name “sardenaira” comes from the fact that, in Sanremo, bakers used to make it with sardines rather than anchovies.

Sardinia’s mustazzeddu (Photo: Patrizio Martorana/ Dreamstime)

In Sardinia, we find another focaccia-pizza hybrid called mustazzeddu. Mustazzeddus have an irregular round shape and their edges are folded over to partly cover the tomato filling, made with sliced cherry or Sardinian tomatoes, garlic, onion, basil, salt, and extra virgin olive oil, of course. There is also a variant of it traditionally tied to Sarrabus, in southern Sardinia, and called prazzidda. Prazziddais not dissimilar from mustazzeddu, but its filling is richer, and often includes, along with tomatoes, eggplant, but also cheese or onions, and peas. According to Steve DiMaggio of La Cucina Italiana US, pinpointing the origin of these dishes isn’t simple, but they likely evolved from pane carasau, the wafer-thin, crunchy flatbread typical of the island. Because pane carasau is often topped with tomatoes and other fresh ingredients, both mustazzeddu and prazzida were likely, initially, a variation of heavily topped carasau.

Let’s move to Sicily now for two delicious pizza-style dishes, Palermo’s sfincione and Trapani’s rianata. Now, sfincione is one of my all-time favorite things, so I may be a bit biased here. A friend of mine makes it and every time she comes visiting I have her bake it for me. Just like sardenaira, sfincione has a much thicker, fluffier crust than other pizzas. Probably hailing from the town of Bagheria, but inspired by a recipe invented by the nuns of the San Vito monastery, it was first baked in the mid-17th century. It is characterised by a very flavorsome tomato sauce enriched with anchovies, golden onions, caciocavallo, pecorino and oregano, which needs to cook for hours to ensure all flavors are properly mixed. Key is also the addition of breadcrumb, which is toasted and mixed with the cheeses before being spread on top of the sfincione.

Slices of sfincione palermitano (Photo: Claudio Rampinini/ Dreamstime)

Always in Sicily, but in the city of Trapani, we have the rianata, which is a close relative of the sfincione. Its dough, too, is on the thicker side, and its toppings are similar, too: chopped tomatoes, sardines or anchovies, garlic, chopped parsley, Sicilian pecorino and, of course extra virgin olive oil. But the tocco dello chef, the chef’s touch, comes after rianata is baked, when you add loads of oregano on top. Indeed its name, rianata, comes from origanata, or “full of oregano.” It seems that rianata was born as a cucina povera dish, that is, as a way not to waste ingredients and preparations which were leftover from other meals. It was so good that, soon, it just broke out of Trapani to enjoy popularity across the island.

Interestingly, when in the US you ask for a slice of Sicilian pizza, what you’re getting is the great-grandchild of sfincione and rianata: we know that Italian migrants brought along recipes from the Belpaese and that they used them as a way to reminisce about home, but also as a source of cohesion to keep the community solid. And it’s undeniable that, if there is one thing that brings people happily together, is a good plate of food.

Napoletana, Romana e al taglio. Margherita, capricciosa e quattro stagioni: ovviamente stiamo parlando di pizza. Ma se queste varietà sono conosciute in tutto il mondo, sono ben lontane dall’essere le uniche, e non parlo solo dei condimenti. Se è vero che la pizza è un piatto napoletano per antonomasia – tanto che la pizza napoletana ha ricevuto il riconoscimento dell’UNESCO – non dobbiamo trascurare le numerose declinazioni e forme, che la pizza ha in ogni regione d’Italia.

Ora, le classiche le conosciamo tutti, giusto? La pizza “Napoletana” ha una crosta più soffice, con bordi ben rialzati, che a volte si riempiono di formaggio. La pizza “Romana” ha una crosta più sottile e croccante e di solito si trova più comunemente nelle pizzerie delle regioni settentrionali – o almeno così mi ha insegnato la mia esperienza!

Ma anche la Sicilia, la Sardegna e la Liguria hanno qualcosa da dire sulla pizza, anche se non molti al di fuori di queste regioni, ne sono a conoscenza. Partiamo dalla più settentrionale di esse, l’assolata e profumata Liguria, terra di pesto e focaccia, di trenette, limoni e… sardenaira. Questa spessa prelibatezza da servire a fette è originaria della città di Sanremo, sulla Riviera dei Fiori, ma è diventata popolare in tutta la regione e la si può trovare persino in molti panifici del vicino Piemonte. Alcuni la considerano più una focaccia carica che una pizza, ma la bontà rimane la stessa. La prima sardenaira fu preparata all’inizio del 1500, dopo che Colombo portò i pomodori dall’America, e pare si chiamasse pizza d’Andrea (o “pissandrea”), in onore dell’ammiraglio Andrea Doria che, a quei tempi, era un grande nome della politica della Repubblica di Genova. La sardenaira ha una crosta spessa e soffice come quella della focaccia ed è condita con una saporita salsa di pomodoro arricchita da acciughe salate, olive taggiasche, capperi, scalogno e, naturalmente, olio d’oliva. Il nome “sardenaira” deriva dal fatto che a Sanremo i fornai la preparavano con le sardine invece che con le acciughe.

In Sardegna troviamo un altro ibrido focaccia-pizza chiamato mustazzeddu. I mustazzeddu hanno una forma rotonda irregolare e i loro bordi sono ripiegati per coprire in parte il ripieno di pomodoro, fatto con pomodorini o pomodori sardi tagliati a fette, aglio, cipolla, basilico, sale e, naturalmente, olio extravergine d’oliva. Ne esiste anche una variante tradizionalmente legata al Sarrabus, nel sud della Sardegna, e chiamata prazzidda. La prazzidda non è dissimile dal mustazzeddu, ma il ripieno è più ricco e spesso comprende, oltre ai pomodori, le melanzane, a anche il formaggio o le cipolle e i piselli. Secondo Steve DiMaggio de La Cucina Italiana US, individuare l’origine di questi piatti non è semplice, ma è probabile che si siano evoluti dal pane carasau, il sottilissimo e croccante piane piatto tipico dell’isola. Poiché il pane carasau è spesso condito con pomodori e altri ingredienti freschi, è probabile che sia il mustazzeddu che la prazzida fossero inizialmente una variante di un carasau abbondantemente condito.

Spostiamoci ora in Sicilia per due deliziosi piatti in stile pizza, lo sfincione di Palermo e la rianata di Trapani. Lo sfincione è uno dei miei piatti preferiti di sempre, quindi potrei essere un po’ di parte. Lo fa una mia amica e ogni volta che viene a trovarmi me lo faccio preparare da lei. Proprio come la sardenaira, lo sfincione ha una crosta molto più spessa e soffice rispetto alle altre pizze. Probabilmente originario della città di Bagheria, ma ispirato a una ricetta inventata dalle monache del monastero di San Vito, fu sfornato per la prima volta a metà del XVII secolo. È caratterizzata da una salsa di pomodoro molto saporita, arricchita da acciughe, cipolle dorate, caciocavallo, pecorino e origano, che deve cuocere per ore affinché tutti i sapori si amalgamino correttamente. Fondamentale è anche l’aggiunta di mollica di pane, che viene tostata e mescolata ai formaggi prima di essere spalmata sullo sfincione.

Sempre in Sicilia, ma nella città di Trapani, abbiamo la rianata, che è parente stretta dello sfincione. Anche la sua pasta è più spessa e anche il condimento è simile: pomodori a pezzetti, sardine o acciughe, aglio, prezzemolo tritato, pecorino siciliano e, naturalmente, olio extravergine d’oliva. Ma il tocco dello chef arriva dopo la cottura della rianata, quando si aggiunge un bel po’ di origano. Infatti il suo nome, rianata, deriva da origanata, cioè “piena di origano”. Sembra che la rianata sia nata come piatto della cucina povera, cioè come modo per non sprecare ingredienti e preparazioni che erano avanzati da altri pasti. Era così buona che, ben presto, uscì da Trapani per godere di popolarità in tutta l’isola.

È interessante notare che quando negli Stati Uniti si chiede un trancio di pizza siciliana, quello che si ottiene è il pronipote dello sfincione e della rianata: sappiamo che gli immigrati italiani hanno portato con sé le ricette del Belpaese e che le hanno utilizzate come un modo per ricordare casa propria, ma anche come fonte di coesione per mantenere solida la comunità. Ed è innegabile che, se c’è una cosa che unisce felicemente le persone, è proprio un buon piatto di cibo.


Receive more stories like this in your inbox