Vorrà dire qualcosa se gran parte della musica strumentale, classica e operistica ancora oggi parla italiano e porta la lingua nazionale nel mondo.
A partire dal secondo ’600, la musica per archi, soprattutto per sonata e concerto, con le denominazioni degli strumenti a corda, fiato e tastiera (fagotto,  flauto, viola, violoncello/cello, cembalo, clavicembalo, piano, pianoforte), del canto (dal madrigale alla canzone, dallo strambotto alla frottola), senza dimenticare il ruolo di indiscusso primo piano dell’opera, che domina la scena europea fino agli anni ‘20 del Novecento, si esprime in italiano.
 
 Non c’è solo l’apice espressivo del melodramma o il prestigio dei librettisti. C’è la teoria musicale che si sviluppa in relazione ai generi, alle forme, alle composizioni: duo, duetto, quartetto, quintetto, cadenza, concerto, sinfonia, sonata, romanza, scherzo. C’è il linguaggio della partitura che usa voci come adagio, presto, allegro per prescrivere un andamento e che poi diventano la definizione di movimenti in composizioni complesse. C’è la terminologia relativa al registro vocale: basso, contralto/alto, baritono, soprano, tenore, coloratura, appoggiatura, trillo. 
Tutto uno “slang” che richiama la Penisola. 
 
Gli italianismi musicali sono moltissimi e la loro diffusione racconta il prestigio della nostra cultura. Un predominio che prosegue con i maestri d’orchestra. 
Tempo fa l’Economist aveva sottolineato il crescente potere fra i maestri italiani alla guida di istituzioni musicali statunitensi di primo livello. Giannandrea Noseda alla direzione della Washington’s National Symphony Orchestra. Riccardo Muti alla guida della Chicago Symphony Orchestra, Nicola Luisotti alla San Francisco Opera, Corrado Rovaris alla Philadelphia Opera, Fabio Luisi alla New York Metropolitan Opera. Quest’ultimo, considerato il teatro d’opera più importante al mondo, ospita come habituè anche Marco Armiliato. 
 
Ed è singolare come, nell’era dello sport professionistico, riferendosi ai direttori d’orchestra, l’Economist avesse parlato di “effetto Federer”, citando il grande traino che le imprese del tennista svizzero hanno provocato in uno sport considerato più che minore tra i connazionali prima del suo avvento. Allo stesso modo l’attuale generazione di eccellenze è figlia di una lunga tradizione musicale che conta compositori e straordinari interpreti, del calibro di Enrico Caruso, Mirella Freni o Luciano Pavarotti, e superbi direttori d’orchestra. La generazione dei Muti e degli Abbado ad esempio, deve moltissimo alla capacità innovativa e carismatica del parmigiano, poi diventato americano d’adozione, Arturo Toscanini, di cui il 25 marzo ricorre il 150esimo anniversario della nascita. 
 
E’ forse l’uomo che ha reinventato il ruolo stesso del direttore d’orchestra moderno, determinante nel timbro musicale dell’orchestra almeno quanto gli stessi musicisti. 
Non solo fu chiamato a dirigere il  Metropolitan di New York nel 1908 (proprio mentre sulla West Coast nasceva L’Italo-Americano) ma è internazionalmente riconosciuto come uno dei direttori più brillanti di ogni tempo. Anche grazie alle esecuzioni delle opere del suo forse più famoso concittadino, quel Giuseppe Verdi che tanto gli deve in termini di fama soprattutto oltreoceano. Ma furono la personalità e la capacità di reagire in tempi bui e di combattere per la democrazia italiana, ad innalzare la figura di Toscanini a un livello superiore rispetto ai suoi già eccelsi meriti musicali.
 
“Sento la necessità di dirle quanto l’ammiri e la onori. Lei non è soltanto un impareggiabile interprete della letteratura musicale mondiale. Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità….Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire”. Einstein si rivolgeva così a Toscanini nel 1936, quando il grande direttore d’orchestra si trovava già lontano dalla sua Italia diventata fascista: la musica e la sua arte, in questo senso, diverranno un importante strumento di lotta politica. 
Toscanini già dal 1931 si era rifiutato di dirigere orchestre in Italia a causa del regime fascista, aveva detto no a molti inviti espliciti di Hitler a lavorare in Germania e, a partire dal 1939, si era trasferito definivamente negli Usa dove, grazie alle sue registrazioni con la Nbc Symphony Orchestra, ha contribuito a rendere immortale la musica classica, non solo italiana. 
 
Fra le altre cose, Toscanini è stato il primo, a portare in Nord America l’opera russa e in Sud America opere come “Madama Butterfly” e “Tristano e Isotta”, portando la direzione orchestrale a un nuovo grado di eccellenza musicale, per il suo perfezionismo musicale, la concentrazione sullo spettacolo, l’impegno assoluto nell’esecuzione e il suo richiamo a leggere la partitura così come è scritta: non servono interpretazioni o dietrologie perchè tutto è già nel pentagramma, se ben eseguito.
Ma Toscanini non è solo un’altra eccellenza italiana da celebrare e ricordare. E’ soprattutto grande musica da ascoltare.
 

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