Tarantino, cognome italiano come la passione per gli spaghetti-western: quando il remake è il ‘furto’ del grande artista 

Quentin Tarantino è in assoluto uno dei registi più famosi e amati dal mondo moderno. I suoi film, dai tratti distintivi particolarissimi, sono un continuo rimando al cinema del passato, al cinema d’azione di Hong Kong, agli spaghetti-western, ai polizieschi e noir della Nouvelle Vague francese e del cinema britannico. Le sue, chiamiamole, citazioni, non sono per nulla velate, ma spesso sono messe in risalto, per dare degli indizi ai suoi spettatori, che immagina maniacalmente cinefili come lui. 

La critica, seppur entusiasta dei suoi lavori, ha sempre contestato il limite tra il plagio e le citazioni, che spesso è oltrepassato da Tarantino, il quale, con il classico spirito che lo contraddistingue, si è sempre difeso, chiamando in causa una famosissima frase di Pablo Picasso: “I grandi artisti non copiano, rubano”. 
 
Le citazioni di Tarantino nascono dall’amore che prova sinceramente per questi generi, con cui è cresciuto, frequentando i cinema fin da bambino e ancora di più mentre lavorava in un videonoleggio. Tale amore fa parte dei suoi film e si rispecchia nelle citazioni, nei dialoghi e nei veri e propri omaggi che rimandano ai generi e allo stile che ama. 
 
Tra i registi preferiti figurano, per nostro grande orgoglio, molti italiani: Sergio Leone in prima linea ma anche Sergio Corbucci, Mario Bava, Sergio Sollima, Enzo G. Castellari (dal quale ha ripreso il titolo Inglorious Basterds storpiando il suo Inglorious Bastards, in originale Quel maledetto treno blindato), Antonio Margheriti (citato anche lui in Inglourious Basterds), Sergio Grieco (in Jackie Brown Robert De Niro e Samuel L. Jackson guardano in Tv La belva col mitra, diretto proprio da Grieco). 
 Gli eroi degli “spaghetti western” che tanto ispirano Tarantino

 Gli eroi degli “spaghetti western” che tanto ispirano Tarantino

 
Tutta colpa, o merito, della madre di Tarantino, Connie McHugh, la quale, presasi una cotta per Clint Eastwood, portò il piccolo Quentin a vedere i film di Sergio Leone: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo. 
Da quel momento in poi tutto cambiò nella vita di Quentin: “Era la fine degli anni Sessanta e uscirono uno dopo l’altro. Per me rappresentano la presa di coscienza del cinema, l’origine della passione per la forza emotiva dei generi”.  
 
Il western all’italiana fu una vera e propria rivoluzione che portò i giovani ad appropriarsi del genere e a diventarne maniacalmente attratti. Sergio Leone nel 1964, con Per un pugno di dollari, inaugurò un nuovo genere, più brutale, più rozzo e più cruento che mai. Fino al 1970 le produzioni di western in Italia fu più prolifica che mai: furono girati oltre 500 film negli studi romani di Cinecittà e soprattutto alle porte della città spagnola di Almeria. Si trattava per lo più di film di bassa qualità con il solito monotono tema di fondo del cacciatore di taglie. Banditi astuti e dialoghi brevi facevano parte del repertorio del genere del nuovo western, così come le sanguinose sparatorie (con abbondante succo di pomodoro). Per questo i critici stranieri parlavano di spaghetti-western.
 
Tarantino che in quegli anni era solo un ragazzino, restò affascinato da quel mondo e iniziò ad amare tutto di quei film: “Quello che amavo di più di questi film era il tentativo di vedere il West com’era, senza idealizzarlo, con le mosche, la sporcizia, la vita miserabile, la crudeltà, il sadismo. E se pure i buoni avevano il cappello bianco e i cattivi nero, la cosa più grande è che non c’è più il buono e il cattivo, c’è ambiguità, gli eroi non sempre lottano per una nobile causa, lo fanno anche per il soldo o per vendetta. Eastwood in fondo era un mercenario”. 
 
L’ultimo film di Tarantino, Django Unchained, è un omaggio assoluto a questo cinema, non attraverso una citazione ma realizzando un remake. Il titolo stesso si rifà al film originale di Sergio Corbutti dell’anno 1966.
Franco Nero, che negli anni ‘60 divenne celebre interpretando il ruolo di Django, compare nel film di Tarantino, in una breve sequenza in cui si imbatte nel suo successore Jamie Foxx. 
 
Alla domanda, da parte dei giornalisti curiosi della sua cinefilia, su quale dei due spaghetti western preferisca, tra quello di Leone o quello di Corbucci, Tarantino risponde: “È difficile dare un giudizio così netto. Corbucci è stato più prolifico, Leone ci ha messo di più a fare i suoi film perché aveva il grandioso progetto di creare una mitologia attraverso i suoi western, diventati una categoria a sé. 
 
Io amo il cinema italiano, non ho visto vostri film nell’ultimo anno perché sono stato impegnatissimo, ma davvero sono un fan del cinema tricolore. Questo vale per i film di Marco Bellocchio, per fare un esempio, come pure per le pellicole con Barbara Bouchet e Edwige Fenech, o quelle dirette da Martino e Castellari. Quando li ho avuti presenti in sala per la prima italiana di Bastardi senza gloria mi sentivo come abbracciato dai miei miti, finalmente vedevo di persona eroi che per me stavano in un immaginario potente, come se un regista di oggi potesse incontrare i divi del muto”.
 
Difficile controbattere. Tarantino è un grande amante del nostro cinema ed è forse grazie al suo interesse che il cinema di genere italiano è stato promosso e oggi è oggetto di libri e studi. 
Purtroppo per noi, Tarantino non nutre analogo amore per il  cinema italiano del presente. Ma come dargli torto? Dopo la sua dichiarata delusione per il nostro cinema, i critici italiani sono letteralmente impazziti, quasi come se riaffiorasse in loro un sentimento nazionalista mai esistito prima. Difficile però difendersi da accuse e critiche reali. 
 
“Non conosco il cinema italiano di oggi, non si vede a Los Angeles, gli ultimi successi in sala sono Il postino e La vita è bella. Qualche titolo esce, ma non ha la risonanza che un tempo avevano i film italiani: colpivano, scandalizzavano, facevano storia. 
 
A Cannes ero a una tavola rotonda e un giornalista italiano ha detto: “non è triste la situazione dell’industria italiana?”. “Sì, è triste”. Un’industria per crescere, con i film d’arte dei maestri, ha bisogno del cinema popolare dei generi e dall’Italia non arrivano nomi giovani con film d’azione. Dalla Corea o dalla Russia arrivano film rivoluzionari come Old boy o Nightwatch: perché non fate niente di così forte in Italia? E non c’è bisogno della sala, il successo di tanti autori asiatici viene solo dal mercato dei dvd, in cui i titoli italiani nuovi sono scarsissimi”. 
 
E pensare che le critiche sono state mosse da uno che del cinema italiano di genere ha fatto la miglior fortuna: “Senza gli spaghetti western non esisterebbe buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa cosa”.  

Receive more stories like this in your inbox