“Ciò che non uccide, fortifica”. Bisognerebbe ricordarselo sempre, anche quando tutto sembra perduto e la vita inizia a scivolarci dalle mani. Mai arrendersi di fronte al fato ostile o alle vicissitudini apparentemente insormontabili.
 
Messaggio universale bello da leggere e persino da scrivere, ma complicatissimo da accettare quando la vita bussa alle nostre porte presentando il conto più salato. Dolore, disperazione, fatica e poi tutto che cambia e sembra non voler più tornare al suo posto. Bisogna conoscere bene se stessi, essere forti, anzi d’acciaio. 
 
Un po’ come Alex Zanardi, un uomo, un eterno ragazzo, che di arrendersi non ha mai avuto voglia, neanche quando il mondo dell’automobilismo gli ha strappato le gambe ed apparentemente la forza di continuare. Con il sorriso sulle labbra ed una voglia di andare avanti pari solo al suo talento, ha battuto la sfortuna, il fato avverso e la menomazione fisica, diventando un IronMan, uomo d’acciaio. 
 
Non un titolo metaforico, ma un vero e proprio riconoscimento sportivo ottenuto nell’ultimo weekend nel corso della famosa gara di resistenza disputata a Kona alle Hawaii. 4 km di nuoto, 180 km di bici e 42 km di corsa (fatti in carrozzina), ovviamente percorsi senza poter contare sull’ausilio degli arti inferiori. Questo l’inferno di sudore e fatica attraversato dal bolognese prima di giungere sul traguardo finale in meno di 10 ore complessive osannato dalla folla e da uno speaker letteralmente in estasi: “Sei tu l’IronMan, Alex Zanardi, sei tu l’IronMan!”. 
 
Eppure Zanardi, l’uomo che ricevette l’estrema unzione subito dopo l’incredibile incidente occorsogli a Lausitzring durante il Gp di Formula Cart che gli avrebbe per sempre cambiato la vita, non ha del tutto gradito lo strepitoso risultato ottenuto facendo presagire un futuro ritorno a Kona per migliorare ulteriormente il suo crono:
 
“Alla vigilia avevo dichiarato di aver posto l’asticella sulle 10 ore – ha confermato il due volte campione del mondo della Formula Cart –, ma nella mia testa volevo andare sotto le nove. Il vento mi ha reso le cose quasi impossibili – ha ammesso Zanardi – dopo il 50esimo chilometro della frazione con la handbike ha iniziato a spirare contro. E quando sono tornato indietro, invece di averlo alle spalle, come pensavo, è diventato trasversale. È stato pericoloso, perché ho rischiato di cadere due volte. Da quel punto di vista non è stato un giorno sfortunato”. Bizze del meteo che impallidiscono di fronte alle difficoltà affrontate durante la frazione di nuoto, quella per intenderci in cui le gambe avrebbero davvero fatto comodo al buon Zanardi: “In acqua ho preso calci e pugni, perché gli altri sprintano con le gambe e si infilano negli spazi liberi, ma io le gambe non le ho…”. 
 
Indimenticabili invece gli ultimi 300 metri quelli durante i quali, come detto in precedenza, tutto si è fermato per scrivere una delle pagine più belle, pure e autentiche della storia dello sport. 
Speaker impazzito, folla festante ed un “pizzico” di emozione a coronamento di una gara fedele metafora di una vita in cui Alex non ha mai smesso di correre: “Quegli ultimi 300 metri sono la cosa più bella che mi sia successa – ha ammesso Zanardi – e a me di cose ne sono accadute molte. Ero sull’orlo delle lacrime, ed è un qualcosa che non mi capita spesso”. 
 
Tralasciando ambizione e desiderio, il risultato complessivo ottenuto dal bolognese è stato però esaltante: 273esimo totale su 2187 partecipanti, 252esimo sui 1566 uomini che hanno preso il via della massacrante prova e 19esimo fra le persone con la sua stessa età (tra i 45 e i 49 anni). 
 
Unico al mondo, bisognerebbe aggiungere, capace di pensare di poter riuscire in un’impresa simile dopo tutto quello che gli è capitato. 

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