“Ti ho mai detto perché fare il vino è fonte di grande piacere?” chiedeva il saggio zio Henry (Albert Finney) al giovane nipote Max (Freddie Highmore) nel bucolico “Un’ottima annata” (2006, di Ridley Scott). “Io amo fare il vino perché questo nettare sublime è semplicemente incapace di mentire. Vendemmiato presto o tardi non importa, il vino ti bisbiglierà in bocca sempre con completa e imperturbabile onestà ogni volta che ne berrai un sorso. Aaaah, delizioso!”.
 
Ha inizio il viaggio. Un nuovo viaggio. Verso Verona e la 49^ edizione di Vinitaly, salone internazionale b2b di riferimento per vino e distillati. Nell’avvicinarmi alla corte di “zio Bacco”, il Regionale Veloce mi offre uno scorcio della campagna veneta. Ci sono trattori, contadini impegnati nel duro lavoro dei campi. Scorgo quei paesini lontani dalla luce dei riflettori. Piccole bomboniere ove si gettano le fondamenta del buon vino che verrà. 
 
Vinitaly 2015. Business, cultura e formazione. Il commercio passa sempre più per questi tre binari. Uve, ma non solo. Tra i giganteschi stand regionali c’è il padiglione Sol&Agrifood, rassegna sull’agroalimentare di qualità, ed Enolitech, appuntamento con la tecnologia innovativa per la filiera dell’olio e del vino. 
 
Sono da poco passate le 10 del mattino e le degustazione si susseguono già incessanti. In un momento in cui la crisi è ancora lì a rallentare l’avanzata dell’economia, il settore vinicolo fa la voce grossa. Il 94,5 per cento delle cantine presenti a Vinitaly esporta, in particolare verso gli Stati Uniti, “inondati” dai prodotti nostrani per il 63%. 
Secondo gradino del podio per importazioni la Germania (30%), quindi Cina (25,2%). Seguono Giappone, Regno Unito, Canada, Russia, Svizzera, Brasile e Svezia. Tra l’11° e il 15° posto infine si piazzano Norvegia, Danimarca, Olanda, Australia e Belgio.
 
Cammino. Mi soffermo. Assaggio. Proseguo. Toscana, Puglia, Calabria ed eccomi in Veneto. Entro nel regno del “Consorzio Vini Venezia”, ormeggiando il mio interesse presso l’azienda Terra Musa, specializzata in vini biologici e vegani. “Abbiamo cominciato circa 40 anni fa – mi spiega il  titolare-lavoratore Moreno Musaragno – e verso la fine degli anni Novanta abbiamo iniziato a convertire la nostra produzione abbandonando in seguito la pulizia del vino con prodotti animali anche se così agendo, tempi e costi sono aumentati. La scelta biologica per me è molto importante poiché io stesso vivo nei campi e mi accorsi che usando altri tipi di prodotti, la mia salute ne risentiva. Sul filone bio-vegano la Germania è molto attenta ma anche gli Stati Uniti, nei quali importiamo soprattutto il nostro Pinot grigio”. 
 
Mi lascio ora condurre nei sapori dell’agroalimentare passando dall’immortale sostanza del Parmigiano alla dolcezza di spicchi d’arancia ricoperti da cioccolato, con intense incursioni in olive, ‘nduja e colomba pasquale. Torno fra i grappoli. Non è vino ma acqua quella che mi ritrovo tra gli occhi una volta arrivato allo stand della casa vinicola tarantina Miali, sul quale è incisa questa frase del giornalista Indro Montanelli, “Ogni filare di vita è la storia di un nonno e un bisnonno”. 
 
Parole queste che sarebbero potute essere pronunciate anche del burbero (poi addolcitosi) viticoltore Alberto Aragon (Giancarlo Giannini), quando nel finale de “Il profumo del mosto selvatico” (1995, di Alfonso Arau) si rivolge al neo-genero Paul (Keanu Reeves), consacrandolo nel vincolo umano-terreno: “Questa è la radice della tua vita. La radice della tua famiglia. Tu sei legato a questa terra e a questa famiglia con la promessa, con l’onore e l’amore. Piantala. Crescerà”.  Arrivederci alla 50^ edizione di Vinitaly (Verona, 10-13 aprile 2016).

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