L’aglio rosso (Ph Ranimiro Lotufo da Dreamstime.com)
Atterraggio all’aeroporto di Roma Fiumicino o Ciampino e poi due ore di comoda strada verso le colline del Lazio. Ci vogliono poco tempo e tanta voglia di “Italia” per lasciarsi indietro la caotica metropoli e abbracciare il sapore di una terra, la Tuscia, che affonda le radici nelle pagine della storia.
Punto di arrivo, Proceno. Di origine etrusca (secondo la tradizione è stata fondata da Porsenna nel VI secolo a.C.), rappresenta la prima tappa di un percorso che, puntando verso Sud permette di scoprire il tratto della via francigena racchiusa nei confini della Tuscia viterbese e che conduce alla tappa finale, Calcata, borgo di straordinaria bellezza.
 “Alla ricerca della perduta Patria Celeste”, tantissimi pellegrini percorsero l’Europa sulla grande rete di strade, la cui colonna vertebrale era formata dalla via Francigena (o Romea) che da Canterbury portava a Roma e che accolse per almeno sette secoli sovrani, commercianti, religiosi e pellegrini. Il tratto viterbese partiva da Proceno, stazione di posta, per finire a Monterosi, prima dell’ultimo tratto verso Roma.
Chiamata anticamente Etruria, questa terra comprendeva un vasto territorio della Toscana, del Lazio e dell’Umbria e nell’epoca romana iniziò a chiamarsi Tuscia. Suddivisa in epoca medioevale tra Tuscia romana, ducale e  regale (l’attuale Toscana), con il passare dei secoli si è sempre più identificata con la provincia di Viterbo, divenendo un territorio peculiare del Lazio.
Acquapendente rappresentava una tappa fondamentale per i pellegrini che si fermavano per venerare una preziosa reliquia portata dalla Terra Santa e si propone come punta di diamante di questo percorso alla scoperta della Tuscia Viterbese.
Il Carnevale, la festa della Madonna del fiore, la processione dei Muratori e la Fiera dei Campanelli offrono spunti di visita in ogni periodo dell’anno e la possibilità di acquistare i prodotti tipici della zona: aglio rosso di Proceno, nocciole romane (che comprende i cultivar “Tonda Gentile Romana”, “Nocchione”, “Tonda di Giffoni” e “Barrettona”), ‘tozzetti di Viterbo’, olio d’oliva (tra i quali spiccano il Canino e il Dop Tuscia) e, pecorino in grotta del viterbese (stagionato in grotte vulcaniche naturali).
Prodotto strettamente legato al territorio è il “cece del solco dritto” di Valentano, coltivato in un’area ristretta all’interno dei comuni di Talentano e Acquapendente. Le caratteristiche organolettiche del cece (le-guminosa destinata al consumo alimentare fresco, caratterizzato da semi lisci di colore bianchiccio), derivano dalle particolari caratteristiche del terreno di coltivazione, ricco di potassio ma povero di calcio.
Il borgo settecentesco di San Lorenzo, nella conca del lago di Bolsena (con la Sagra agostana degli Gnocchi), una breve deviazione verso il borgo di Onano (paesino che vanta fin dal ‘500 la coltivazione tipica di una cultivar di lenticchia), Bolsena (dove nel 1263 avvenne il miracolo che portò all’istituzione della festa del Corpus Domini e dove è possibile degustare dell’ottimo vino rupestre, invecchiato almeno 24 mesi, particolarmente adatto ai primi piatti conditi con il classico ragù o con le castagne di Valleranno e i marroni di Latera), Montefiascone (con la sua Fiera del vino, che rievoca con un im-ponente corteo storico la leggenda del nobile tedesco Giovanni Defuk che, in viaggio per Roma, morì nel 1113 dopo un uso smodato del delizioso vino “Est! Est!! Est!!!”) anticipano con le loro straordinarie architetture medioevali l’incontro con Viter-bo, cuore storico della Tuscia.
Già sede papale, la città racchiude molti monumenti e un centro storico medioevale quasi integro: Palazzo degli Alessandri (XIII sec.), chiesa di S. Pellegrino (XI sec.) e ponte del Duomo affiancano Palazzo Papale, ricco di tesori artistici e testimone di episodi di assoluta risonanza storica. L’edificio, completato nel 1266, ha accolto cinque conclavi, compreso quello durato 33 mesi e dal quale uscì eletto nel 1271 papa Gregorio X.
In tale occasione i cardinali, riuniti da più tempo, non riuscivano a trovare un accordo per l’elezione del Pontefice, per cui i cittadini, stanchi di attendere, co-strinsero Raniero Gatti a chiudere il portone “cum clave” (da ciò deriva la parola “conclave”), a ridurre il vitto ai cardinali ed a scoperchiare il tetto.
San Martino al Cimino con  l’Abbazia cistercense, Soriano  con la Chiesa e le Catacombe di S. Eutizio, il Duomo di Civita Castellana, il Santuario di Castel Sant’Elia, e le Catacombe di S. Savinella a Nepi, arricchiscono la conoscenza di questa angolo d’Italia che, riportando sulla via romea, permette di scoprire il piccolo centro di San Martino al Cimino, che ospita l’Abbazia co-struita alla fine del XIII secolo dai Cistercensi di Pontigny.
Se si arriva a Vetralla in estate, vale la pena partecipare alla festa annuale dello sposalizio dell’albero, che si tiene nel bosco del monte Fogliano, immergendosi in un evento di origine antichissima e legato ai riti propiziatori di fecondità.
Ronciglione, Capranica, Sutri, (cittadina di antiche origini che vanta un Anfiteatro tra i più suggestivi del Lazio) e Monterosi, completano il tratto di via francigena all’interno della Tuscia. La via Cassia, dopo Monterosi, abbandona la Tuscia per attraversare il territorio laziale sulla Via Trionfale fino a Roma.
Per chi però cerca il marchio dell’unicità nella scoperta dell’Italia, Calcata rappresenta un’ottima soluzione. Borgo medievale scelto da artisti e per diversi film (da “Amici miei a “La mazzetta”, da “Nostalghia” a “James Joyce”), il borgo ha origine falisca (popolazione coetanea dei Latini) ed è costruito su uno sperone tufaceo. Il borgo, visitabile solo a piedi e nel quale si entra attraverso una doppia porta ed una strada in salita, fino ad alcuni anni fa, custodiva una sconcertante reliquia del mondo cristiano, il “Prepuzio di Gesù”. Secondo le leggende, nel 1527 fu catturato un lanzichenecco che aveva preso parte al sacco di Roma, e depredato il Sancta sanctorum di San Giovanni in Laterano.
Imprigionato nel paese, avrebbe nascosto il reliquiario contenente il Santo prepuzio nella sua cella, dove sarebbe stato scoperto nel 1557. Da allora la Chiesa iniziò a venerare la reliquia, concedendo ai pellegrini un’indulgenza di dieci anni.
La Tuscia è però ricca di notevoli suggestioni enogastronomiche, nella quale riveste un ruolo importante la produzione ortofrutticola ed enogastronomica.
Tipico e particolarmente ap-prezzato per ottimi piatti è il fungo Ferlengo (pleurotus ferulae) che cresce spontaneamente nel terreno calcareo tarquiniese.
I piatti tipici che si possono gu-stare sono: acquacotta, frittelle di riso della Tuscia, pizza di Pasqua, panpepati e biscotti di Natale a base di frutta secca. L’apicultura (miele di Monte Rumeno) affianca una produzione vi-nicola che trova nel famoso “Est!Est!Est!”, nell’Aleatico di Gradoli, Tarquinia, Orvieto, nei Colli Etruschi Viterbesi, Vignanello, Cerveteri i riconoscimenti Doc.
Canino e Tuscia si contendono la palma nel settore dell’olio extravergine d’oliva.
Completano l’offerta della produzione tipica di un territorio che permette di entrare, passo dopo passo e piatto dopo piatto, nella storia della nostra Italia: Caciotta dolce della Tuscia, Pecorino, Pecorino romano Dop, Ricotta della Tuscia, Anguilla di Bolsena, Coregone del Lago di Bolsena, Agnello della Tuscia, Carne di bovino maremmano, Coniglio Verde “Leprino di Viterbo”, Capocollo (o lonza), Coppa di testa, Guanciale, Porchetta arrotolata e Prosciutto della Tuscia, Salame cotto, Susianella di Viterbo, Aglio rosso di Proceno, Asparago di Canino, Carciofo di Tarquinia, Cece di Valentano, Fagiolo del Purgatorio di Gradoli, Farro di Acqua-pendente, Grano duro della Maremma Viterbese, Lenticchie di Onano, Patata Alto Viterbese, Marrone dei Monti Cimini, Nocciola dei Monti Cimini.

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