Il titolo del nuovo film di Stefano Sollima rimanda ad un quartiere dell’antica Roma i cui abitanti appartenevano al sottoproletariato urbano. Sub-urbia, allora come adesso, ha così un’accezione dispregiativa. Ma la “Suburra” nella quale Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola e Alessandro Borghi danno vita ai loro personaggi non è soltanto uno spazio fisico. L’efferata criminalità, la corruzione e l’immoralità esondano le cinte murarie che li contenevano e dalla periferia raggiungono le più alte sfere del potere.
 
La Roma di Sollima è uno scenario tetro, dove i protagonisti approfittano del buio della notte per commettere peccati che nemmeno la pioggia incessante riuscirà a lavare via. Il primo Mr Hyde è Filippo Malgradi (che ha le mille sfumature che ha saputo donargli Pier Francesco Favino), un politico corrotto che ogni sera, dopo aver avvisato la moglie che non rincaserà, si dedica a piaceri erotici in compagnia di due escort. Intanto Aureliano Adami (interpretato da Borghi), boss della malavita di Ostia detto Numero 8, appicca il fuoco ad un locale e picchia a sangue il proprietario convincendolo a cedergli il terreno. Lo segue la fedele compagna Viola, assuefatta tanto alla relazione con il criminale quanto alla droga.
Tra i bassifondi non possono certo mancare gli zingari, rappresentati da Manfredi Anacleti, capoclan che vuole promuovere il passaggio ad una delinquenza di più alto livello stringendo alleanze con la mafia. Sebastiano (che ha il volto di Germano) da Pr dei salotti romani è una sorta di parassita dei vip, ma il fiume infangato della suburra non risparmia nemmeno lui, erede di insanabili debiti paterni.
Non rimane immacolata neanche la Chiesa, tanto che il Papa del film, proprio come Ratzinger nel 2013, decide di dimettersi.
 
Le vite di tutte queste persone si incrociano per opera del più inquietante dei personaggi: il Samurai. È Claudio Amendola a dare vita a questo capo mafioso, ex-componente della Banda della Magliana, che con una calma glaciale intesse la già consistente trama di rapporti tra la malavita ed il potere.
I singoli protagonisti della storia non tentano in alcun modo di arrestare il corso di questo fiume nero “di falde amare”, che finisce per travolgerli. Anzi ogni singola azione sembra voler perpetrare la logica perversa della collusione. Non ci sono eroi veri e propri a salvare la situazione perché, al di là della narrazione scenica, i fili della ragnatela tesa tra Chiesa, politica e criminalità organizzata sono troppo antichi per essere spezzati e anche i personaggi non possono che muoversi tra i suoi spaventosi intrecci.
Samurai risulta una figura particolarmente sinistra perché introduce un elemento in più nel succedersi delle diverse vicende: la normalità. Mentre tutti urlano, muoiono, piangono, sanguinano e si disperano, lui si muove silenzioso e placido, perché Samurai, per citare Numero 8, “è uno che sa molte cose”. E tra le molte cose di cui è a conoscenza figura il fatto che tutti i disgraziati coinvolti non sono altro che pedine del gioco. Un gioco che non si fermerà. 
I progetti della mala infatti non subiscono una battuta d’arresto nemmeno quando una crisi di governo sembra aver creato uno spiraglio di cambiamento. Come commenta Samurai, sarà sufficiente corrompere un altro politico, magari della parte avversa per riavviare il giro.
 
Il regista romano Sollima, già autore delle serie tv Gomorra e Romanzo criminale, dà un ritratto dell’Italia che risulta tanto più agghiacciante quanto più ci risulta familiare. Perché da spettatori sappiamo che di Malgradi ed Adami ne è piena tanto Roma – basti pensare ai recentissimi scandali di Mafia Capitale – quanto il resto del Paese. Ma quel che è peggio è  che sappiamo anche che il loro gioco non verrà arrestato nemmeno quando partiranno i titoli di coda.

Receive more stories like this in your inbox