Sarà per il titolo “La mafia uccide solo d’estate” che il film di Pif, all’anagrafe Pierfrancesco Diliberto, palermitano, sta ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. Oppure c’è effettivamente qualcosa di veramente interessante e ben costruito in quei novanta minuti di proiezione cinematografica?
 
L’ironia che sostiene la pellicola è certamente il modo migliore di parlare ancora una volta di mafia, riuscendo però con l’uso di un linguaggio (non soltanto parlato) diverso dagli stereotipi a cui siamo abituati, a ridicolizzarla proprio per la sua incidenza nella vita di ogni giorno, ed essendo essa stessa l’ironia, la comicità,  uno strumento e non un fine.
 
Insomma, è un film che attraversa confini tra il comico e il tragico, prediligendone la visione attraverso gli occhi disincantati di un bambino che manterrà a lungo la sua innocenza e che vedrà la sua vita condotta sul filo di una lama che tenterà sempre di spingerlo da una parte che non è quella alla quale affidare il proprio io, la propria dignità.
 
Pif è stato aiuto regista nel film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana nel 2000, ma finalmente ha potuto realizzare con “La mafia uccide solo d’estate” il sogno della sua vita: fare il regista cinematografico.
 
Dal 2007 conduce per il canale televisivo Mtv “Il Testimone”, programma che racconta storie che non occupano spazi sulle pagine dei giornali, ma che lui documenta con l’aiuto di una piccola telecamera che porta sempre con sé, come se fosse un terzo occhio puntato su una realtà che, proprio per la tecnica adottata, risulta scarna e obiettiva come un pezzo di cronaca “da manuale”.
 

Nel film si parla anche di Mario Francese, giornalista palermitano, ucciso per mano mafiosa trentacinque anni fa. Cronista di “nera” era una delle brillanti firme del Giornale di Sicilia, uno di quelli che andava oltre la notizia, con la schiena dritta, che non si fermava davanti alla verità e al pericolo che essa poteva comportare in un periodo in cui – erano gli anni ’70/80 – la mafia non risparmiava nessuno che si frapponesse tra lei e i suoi interessi.
 
Venne ucciso la sera del 26 gennaio 1979, mentre rincasava dopo una giornata di lavoro al Giornale di Sicilia, vicinissimo alla sua abitazione e furono i tre figli maggiori, Giulio, Fabio, Massimo – ne aveva quattro – a vederlo disteso sul selciato immerso in una pozza di sangue e di acqua piovana, lui che aveva sempre “raccontato” ai suoi lettori quelle cronache oscure e maledette che, invece, ora vedevano lui come protagonista, come vittima.
 
Ci sono voluti circa venti anni per riaprire l’inchiesta, per scoprire colpevoli, mandanti ed esecutori del delitto e fu il più piccolo dei fratelli, Giuseppe, seguendo lo stesso metodo investigativo del padre, cercando tra le sue carte, a convincere il magistrato Laura Vaccaro a cercare gli assassini di Mario Francese.
 
Leoluca Bagarella, esecutore materiale, Totò Riina e Bernardo Provenzano, mandanti, vengono finalmente condannati, la “Cupola” viene fortemente colpita e al giornalista che per primo aveva “osato” fare il nome di Totò Riina e alla sua famiglia, viene finalmente resa giustizia.
 
Quest’anno nella ricorrenza del trentacinquesimo anniversario dall’efferato delitto di mafia,  Corleone, paese di Riina e Provenzano, ha voluto ribadire la sua condanna ai due concittadini che ne hanno così tanto infangato il nome, intitolando una piazza a Mario Francese. 
 

Contemporaneamente, a Palermo, il sindaco Leoluca Orlando insieme al presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia Riccardo Arena e ad altre autorità, ha intitolato al giornalista ucciso 35 anni fa, uno spazio verde in viale Campania, luogo in cui avvenne l’omicidio.
 
Il giorno 27, è ormai un appuntamento che si ripete da circa venti anni anche se con alcune interruzioni, è stato il momento celebrativo per l’edizione 2013/2014 del Premio Giornalistico Mario Francese che è stato attribuito a Pif ed è stata la prima volta che non è stato un giornalista a ricevere il premio ma un regista, attore  e protagonista, sceneggiatore e soggettista. 
 
La giuria, presieduta dal giornalista Gaetano Savatteri, milanese di nascita, ma di origini siciliane (i genitori erano di Racalmuto, paese dell’agrigentino, tornato poi in Sicilia come studente e come collaboratore del Giornale di Sicilia) ha assegnato il premio a Pif perché ha saputo raccontare la mafia con attenzione e profondità degne di un cronista di lungo corso. 
 
Altri riconoscimenti sono stati consegnati nell’ambito della manifestazione e la giovane Ester Castano, giornalista precaria che ha denunciato coraggiosamente le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Comune di Sedriano (in provincia di Milano), ha ricevuto il Premio Giuseppe Francese intitolato al minore dei figli di Mario che, dopo avere tanto contribuito alla ricerca della verità sul delitto perpetrato dalla mafia ai danni del padre, si tolse la vita.
 
Altre targhe sono state attribuite a cronisti siciliani e una è andata pure a Valerio Castaldi del Tg2, autore del servizio-scoop sul trattamento anti scabbia nel centro di accoglienza migranti di Lampedusa.
Sono state premiate anche Leoluchina Savona, sindaco di Corleone e Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa per il loro coraggio di amministrare due realtà diverse, ma entrambe difficili da gestire.
 
Nel momento in cui la mafia tenta di rialzare la testa lanciando segnali minacciosi per intimorire la magistratura, il modo ironico, ma insieme impegnato che si legge nel film di Pierfrancesco Diliberto,  aiuta a tenere in vita la memoria, a ricordare, ed è per questo che il premio è certamente ben riposto al di là del possesso di un tesserino dell’Ordine dei Giornalisti che, comunque, gli verrà consegnato simbolicamente come “atto di incoraggiamento ad entrare a far parte della “grande famiglia” dell’informazione”, come recita il comunicato stampa diramato dall’Ordine.
 
La premiazione ufficiale con la consegna delle targhe è avvenuta presso l’Istituto Alberghiero Pietro Piazza di Palermo il cui preside prof. Rosolino Aricò, nel corso della cerimonia, ha intitolato la sala a Mario Francese.
 
Nel comunicato si legge pure che il premio è stato finanziato esclusivamente dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e, per la prima volta dalla sua istituzione, non ha ricevuto alcun contributo dalla Regione Siciliana.
 
Targhe per i premiati che possono essere messe a confronto con quelle che tappezzano i muri della città di Palermo, targhe in memoria dei caduti per mano mafiosa che, come una palermitana Spoon River, trasudano dolore e insieme ribellione, quella di una città che non si rassegna al dolore, che vuole vivere tutte le sue stagioni, ma che è pronta ad annullare l’estate se questa portasse ancora morte, come recita il titolo del film di Pif.
 

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