Da tre mesi Little Tony si era ritirato in una clinica sulla via Nomentana, preferendo uscire in silenzio dalla scena. Tre anni fa, sul palcoscenico di Ottawa, in Canada, al termine di una delle sue numerosissime tournée, aveva visto la morte in faccia, colpito da un infarto, letteralmente salvato dalla bravura dell’equipe medica di un ospedale. Stavolta non c’era scampo davanti a quella diagnosi infausta: tumore alle ossa.
 
E così Little, conosciuto il suo destino, ha deciso di uscire dalla villa sotto i Castelli, posando le chiavi delle sue Ferrari luccicanti posteggiate in giardino. La strada che portava alla villa dal cancello l’aveva chiamata “Boulevard Elvis Presley”, in onore della musica e di un uomo che, come lui, è stato leggenda. A settantadue anni Little Tony, all’anagrafe di Tivoli (alle porte di Roma, dov’era nato, Antonio Ciacci) ha detto basta, certificando l’annata da brividi della musica italiana. Nel giro di pochi mesi se ne sono andati Jannacci e Califano, altri due fuoriclasse dei 45 giri della nostra memoria.
 
Una vita in salita, all’inizio, per Little, che arrotondava cantando, con la sua band improvvisata, nei matrimoni dei Castelli Romani o del litorale laziale. Poi volle prendere di petto la sua vita, decidendo di partire per il Regno Unito.
 
A lui si accodarono i fratelli e così nacque “Little Tony and his brothers”, complesso italianissimo che percorreva in lungo e in largo le ferrovie inglesi, esibendosi ora a Londra, ora a Manchester, ora sul mare, ora nelle città in collina. Sbarcò in Inghilterra senza una lira in tasca, soprattutto senza parlare una parola d’inglese. Ma il destino, con lui, aveva deciso di non essere cinico e baro. Tornò in Italia, presentandosi a Milano.
 
Voleva continuare a cantare in inglese, ripercorrendo la storia del rock, lui, novello emulo di Elvis e del suo repertorio. Eterno ciuffo stampato in testa, mai un capello fuori posto, giacche colorate, pantaloni con le stellette e le paillettes. La gente impazziva e fu facile, allora, cavalcare quell’onda di successo.
 
Con “Riderà” al Cantagiro del ’66 costruì la sua fortuna: un milione di copie vendute. Era un’Italia, la nostra, che, in quegli anni, cantava essenzialmente musica melodica. Little Tony ebbe il merito di cambiare – sia pure in corsa – i gusti canori di un Paese intero, esportando la musica di Elvis, esibendo un rock che entrava nelle vene.
 
Con “Cuore matto” scalerà ancora le classifiche nazionali: fantastici i suoi duetti con Celentano e Patty Pravo. Iniziò a guadagnare e pure un po’ a sperperare, amante delle Ferrari, di ogni tipo. Quando festeggiò i settant’anni gliene regalarono una, rigorosamente personalizzata. Amava anche correrci: anni fa si schiantò dopo una curva, riportando gravi ferite al volto. Gli ultimi mesi li ha trascorsi con la figlia Cristiana e i suoi tre nipoti, avendo già intuito la fine. Non è stato uno qualunque, Little Tony, ambasciatore musicale italiano nel mondo.
 

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