Amare o non amare i film di Dario Argento è un segno di riconoscimento di un certo cinefilo. Se sia genio o follia non è del tutto chiaro, ma sicuramente il suo cinema non ha lasciato indifferenti intere generazioni. Dal suo debutto il regista ha lavorato principalmente all’interno dello stesso genere , “il giallo”, in particolar modo con storie criminali in cui si mescolano violenza e sadismo, caratterizzate da codici immutabili noti allo spettatore in cerca di emozioni forti.
 
Critico cinematografico negli anni ‘60, Dario Argento ha firmato le sue prime sceneggiature nel 1968. Notato da Sergio Leone , il regista cult del cinema western, venne incaricato da quest’ultimo di scrivere la sceneggiatura di “C’era una volta il West” in collaborazione con Bernardo Bertolucci. Nel 1970, grazie al padre e produttore Salvatore Argento, passò per la prima volta dietro la macchina da presa con “L’uccello dalle piume di cristallo”. In questo film troviamo già tutti i temi cari al regista : il fascino per gli animali, la memoria visiva ( un uomo è testimone di un’aggressione ma non ricorda il volto del colpevole) e un’indagine poliziesca nel più puro stile “giallo”.
 
Sceneggiatore dei suoi film, Dario Argento proseguì con “Il gatto a nove code” al quale i produttori imposero un cast internazionale tra cui Karl Malden, James Franciscus e Catherine Spaak. Questa volta la storia è quella di un ex poliziotto cieco testimone auditivo di un crimine, il gatto del titolo, invece, fa riferimento agli indizi che permettono di trovare il colpevole. Nel 1971, il regista concluse la sua “ trilogia degli animali “ con “Quattro mosche di velluto grigio” con Michael Brandon, in cui le mosche sono il perno dell’intrigo.
 
Dopo i suoi primi tre film coronati da un successo critico e commerciale Argento provò a deviare dal genere “giallo” nel 1973 con “Le Cinque Giornate”, una commedia ambientata durante la rivoluzione italiana del 1848. Il fallimento del film però lo spinse nuovamente a tornare sull’”alta tensione” due anni dopo con “Profondo Rosso”, considerato da molti il suo capolavoro .
 
Particolarmente cruento (l’assassinio di una medium è il primo di una catena di delitti sanguinosi sui quali indagano un musicista e una giornalista), si può considerare il thriller di transizione tra la prima fase “hitchcockiana” e quella visionaria e occultista di “Suspiria” e “Inferno”. Il film permise al regista di lavorare per la prima volta con l’attrice Daria Nicolodi, futura moglie, musa e madre della figlia Asia e segnò  la prima partecipazione del gruppo Goblin alla colonna sonora dei suoi film.
 
Nel 1977, Dario Argento pur rimanendo nei confini della paura, passò a un approccio più fantastico di cui “Suspiria” resta il miglior esempio. Nel film, una studentessa resta intrappolata in una scuola di danza in cui accadono cose inspiegabili e malvagie. Gioiello gotico-psichedelico, pieno di invenzioni visive, il film è ispirato al romanzo Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey ed ebbe un forte successo internazionale. Un anno più tardi il regista collaborò alla scrittura e alla produzione di “Zombie” di George A. Romero che diventerà un cult del cinema horror americano.
 
Gli anni ‘80 per il regista romano segnarono allo stesso tempo la consolidazione del suo mito e la discesa verso l’inferno. La sua produzione del decennio precedente diventò  infatti oggetto di venerazione e gli furono riservati moltissimi onori in tutto il mondo, ma sarà anche lo scoglio che il regista non riuscirà a oltrepassare. Da lì in poi e per tutti gli anni ‘90 le sue pellicole non si riveleranno all’altezza delle precedenti, molte saranno le delusioni e gli insuccessi (“La sindrome di Stendhal”, “Non ho sonno”, “Il cartaio”… ).
 
I fan della prima ora non lo riconobbero più, i suoi film erano sempre più involuti, semplicistici e banali. Ricordiamo che il 1993 segnò anche l’inizio della collaborazione con la figlia Asia, all’ora diciottenne, con il film “Trauma”. La collaborazione sarà rinnovata nel 1996 con “La Sindrome di Stendhal”, nel 1998 con “Il Fantasma dell’Opera”, nel 2007 con “La Terza Madre” e con l’ultima fatica, “Dracula 3D” del 2012. Accolto tiepidamente da critica e pubblico, il film è stato presentato recentemente a Los Angeles al The Regal Theatre ed è visibile nelle sale dal 4 ottobre.
 
In occasione della presentazione losangelina il “maestro del brivido” ha concesso a L’Italo-Americano un’intervista lampo:
 
L’esigenza di confrontarsi con i classici dell’horror non è nuova nella sua produzione, ma perché ha scelto proprio Dracula di cui esistono già moltissime versioni?
Sono sempre stato affascinato dalla figura di Dracula, questa creatura che succhia il sangue per vivere e dalla storia di amore e morte che aleggia sul personaggio. Il mio approccio è però diverso dagli altri, ho deciso di puntare su degli elementi sino ad oggi poco sviluppati, per esempio le sue metamorfosi. Mi sono detto: se Dracula lo hanno fatto diventare un pipistrello o un lupo perché non puù trasformarsi anche in altri animali? Nel mio film assume sembianze molto diverse (topo, ragno, scarafaggio, mantide religiosa…) e segue i personaggi.
 
Quale Dracula sente più vicino al suo?
L’unico Dracula che ricorda il mio e che secondo me è anche la migliore trasposizione cinematografica del romanzo di Stoker è quella della Hammer Films con Christopher Lee.
 
Come mai la scelta del 3D?
Volevo fare Dracula, ma non trovavo la dimensione giusta per metterlo sullo schermo. Poi quando ho visto le nuove macchine Alexa della Ariflex, con un sistema di ripresa avanzatissimo usato anche da Scorsese per Hugo Cabret 3D, ho capito che bisognava rappresentare Dracula in questa nuova dimensione, in cui si possono vedere le profondità e le distanze tra i personaggi.
 
Ultimamente assistiamo a un dilagare di serie televisive horror-vampiresche, ha mai pensato di farne una?
Mi è stata proposta una serie, forse l’anno prossimo. Dovrei venire a Los Angeles per parlarne con i produttori…
 
Com’è il rapporto padre-figlia sul lavoro?
Abbiamo già fatto cinque film insieme ed è stato un privilegio come padre. È nato un rapporto importante tra di noi, lei conosce bene il mio lavoro, io conosco bene le sue possibilità e quando lavoriamo insieme lei è attrice ed io sono regista, non siamo più padre e figlia. Poi la sera quando si finisce di lavorare, si torna padre e figlia e ci raccontiamo tutte le cose, ma sul set siamo dei professionisti.
 
Ci parli del suo Museo degli orrori a Roma, di che cosa si tratta?
È un luogo d’incontro che ho creato per i miei fans e per le persone che vogliono conoscermi. Si possono vedere, comprare tutte le cose che riguardano il cinema horror. C’è anche un piccolo museo con gli oggetti originali che ho usato nelle scene dei miei film.
 

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