Nell’anno 58 avanti Cristo, caduto in disgrazia, Marco Tullio Cicerone (106 – 43 a.C.), uomo politico, ma più ancora oratore, filosofo e letterato, fu mandato in esilio per aver condannato a morte, nel 63, mentre era Console a Roma, i seguaci del senatore Lucio Sergio Catilina, arrestati dopo aver sventato, egli stesso, la congiura ordita da Catilina.
 
In quella inchiesta Cicerone fu accusato di non aver rispettato la procedura costituzionale. Si trattò infatti di un processo sommario la cui condanna a morte non fu sottoposta a conferma da parte dei tribuni della plebe. 
 
Perciò Cicerone, esiliato, subì anche la confisca dei beni. E così sull’area della sontuosa domus che si era costruita sul Palatino fu edificato un tempio alla Libertà.
 
Ma graziato l’anno successivo, al suo rientro a Roma, intentò una causa allo Stato mirante ad ottenere un ulteriore risarcimento per la casa distrutta e la sua riedificazione a spese pubbliche. L’orazione (arringa, discorso giudiziario) che tenne, la tradizione letteraria l’ha registrata col titolo “de domo sua” ( = per la propria casa).
 
Anche se non si è certi che l’orazione giunta fino a noi sia stata effettivamente quella pronunciata da Cicerone davanti al Pontefice massimo per reclamare i suoi diritti. 
 
Da quella volta, “De domo sua” ( o “pro domo sua”) è divenuto il motto, l’emblema, la bandiera di chi nei processi, nelle controversie, nelle discussioni – forse anche nella politica – parla esclusivamente per i suoi personali interessi.  
 
Questo il dato storico che spiega il senso della espressione divenuta ormai proverbiale, e se in quest’opera di divulgazione ho deciso di passare dall’esame di singole parole alle intere frasi, l’ho fatto per spiegare (provare) che non solo le parole hanno un loro significato, ma anche gli enunciati (le frasi intere), e così tutte le unità linguistico-letterarie, a tutti i livelli di comunicazione, a partire proprio dai fonèmi.  
 
Ogni suono, ogni parola, ogni stringa di parole, piccola o grande, utilizzati nella comunicazione, se sono portatori di informazione, diventano significativi in quanto hanno tutti un significato: dalla “a” di cane, che ci fa distinguere la parola cane da altre parole come: cene o cine, fino ad un testo lungo quanto un’opera di letteratura (sia essa pagina di cronaca, romanzo, o poesia).
 
Se come esordio ho scelto la frase latina che riproduce il titolo di una famosa orazione ciceroniana la quale (frase) bene si è adattata in generale a tante altre situazioni, è perché anch’io mi ci vedo, nella casistica. Cioè, anch’io parlo nel mio interesse, “pro domo mea”. 
 
Infatti, questo è il mio interesse! E … la mia debolezza confessata: la munificenza e la prosopopea. Ed è per questo che settimana dopo settimana, offro alla vostra curiosità lemmi (vocaboli) di cui in un paio d’anni ho raccolto l’etimologia, costruendo su ognuno di essi un’ipotesi, studi pseudoscientifici (qualcun altro avrebbe detto semiseri) a carattere divulgativo. 

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