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Il palazzo comunale Ordelaffi eretto nel 1306 quale sede del potere civile
Bertinoro è un borgo medioevale situato sulle colline romagnole, fra Forlì e Cesena, sulla cima del monte Cesubeo. Il suo nome è legato a miti e leggende, una vede Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, assaggiare un vino servito in una coppa di terracotta e dire: “Non di così rozzo calice sei degno, o vino, ma di berti in oro”. 
 
Camminando tra le vie acciottolate di Bertinoro, fra palazzi storici, chiese e abitazioni come pure sui sentieri che costeggiano i resti dell’antica cinta muraria, si possono scoprire sempre nuovi scorci suggestivi, panorami che guardano la vallata sottostante. 
 
Dalla terrazza di Piazza della libertà, ottenuta all’inizio del secolo abbattendo alcuni palazzi che ne chiudevano la vista, nelle giornate limpide, la visuale arriva sino al mare Adriatico, da Rimini a Ravenna. Nella piazza sorgono la Cattedrale, ultimata nel 1600, e il Palazzo comunale, fatto erigere da Pino degli Ordelaffi nel 1306, come sede del potere civile. L’edificio poggia su 8 colonne di stile bizantino e romano, nel corso del tempo ha subìto numerose trasformazioni. 
 La colonna dei Dodici anelli che accolgono i viandanti

 La colonna dei Dodici anelli che accolgono i viandanti

 
A lato della piazza sorge la Colonna degli Anelli (o della Anella), un monumento di sasso bianco, simbolo dell’ospitalità e del paese. Secondo la tradizione la colonna venne eretta per volere di Guido del Duca e Arrigo Mainardi, nobili bertinoresi del XIII secolo, per porre fine alle dispute su chi dovesse ospitare il forestiero in visita alla città. La colonna fu dotata di 12 anelli utili per legare le briglie dei cavalli.
 
Ad ogni anello corrispondeva il nome di una famiglia. A seconda di quella che veniva scelta per legare il cavallo dall’ignaro viandante, la famiglia corrispondente aveva l’onore di ospitare il forestiero. Questo era l’unico modo per sapere cosa accadeva nel resto del mondo.
 
La prima domenica di settembre la città rievoca l’antico rito, ogni ospite stacca una delle buste legate alle anelle e partecipa al pranzo della famiglia o del ristorante bertinorese a cui corrisponde. 
 
Sulla cima del monte Cesubeo è posta la Rocca, costruita nei primi decenni del X secolo dai Conti di Bertinoro, grazie alla sua posizione privilegiata, fu una delle opere difensive più temute del tempo e un sicuro rifugio dagli assalti nemici. Ne fecero la loro dimora molti nobili personaggi: Federico Barbarossa, i Malatesta, gli Sforza, i Borgia.    Dal 1994 la Rocca è sede del Centro residenziale universitario legato all’Alma Mater Studiorum di Bologna, ospita corsi di formazione, seminari e convegni. Al piano terra è allestito il Museo Interreligioso, un unicum assoluto in Italia, dove ammirare sale dedicate ai luoghi, ai gesti e agli oggetti che legano l’uomo e la sua storia ai culti delle tre religioni monoteiste: Cristianesimo, Ebraismo e Islam.
 
La pieve di San Donato, nella frazione di Polenta, è la chiesa più caratteristica e più citata di Bertinoro. Dal giorno in cui Giosuè Carducci la fece oggetto del suo canto “La Chiesa di Polenta”, questa assurse a fama nazionale. Quando poi l’interrogativo posto dal poeta “Forse qui Dante inginocchiossi?” per alcuni divenne quasi certezza ed il piccolo paese fu battezzato col nome di “Polenta di Dante”.
 
In Romagna, quando si parla di Bertinoro, si pensa al vino, il più importante tra i bianchi è l’Albana, primo vino bianco italiano ad ottenere il riconoscimento Docg (Denominazione di Origine Controllata e Garantita). Storia e mito parlano di questo vitigno senza definirne i confini; probabilmente, introdotto in Romagna dai romani, dal latino albis-bianco, l’Albana è legata a Bertinoro dalla leggenda di Galla Placidia, che lo identifica con questo territorio.
 
Altro vino bianco è il Trebbiano, la cui origine risale ai periodi etrusco e romano, dove i colonizzatori impiantarono vitigni dopo la bonifica e l’appoderamento delle terre. I vignaioli bertinoresi hanno il merito di aver salvato dall’estinzione il vitigno del Pagadebit, il cui nome deriva dal fatto che i contadini, grazie alla sua resistenza alle avversità atmosferiche, riuscivano sempre a pagare i debiti contratti nell’annata vitivinicola. 
 
Il vino rosso d’eccellenza è il celeberrimo Sangiovese, le cui prime notizie risalgono al ’600; quando durante un banchetto tenuto nel monastero dei frati cappuccini in Santarcangelo di Romagna, alla presenza di Papa Leone XII, fu servito dagli stessi monaci. Ne fu chiesto il nome e un monaco disse che quel vino rosso si chiamava “Sunguis di Jovis”, Sangue di Giove (Sanjovese).
 
Un’altra specialità di queste parti è la famosa piadina, venduta nei caratteristici chioschi. Gli ingredienti sono pochi e semplici: farina, strutto, acqua e sale. Perfetta per salumi, formaggi ed erbe di campagna, la piadina accompagna molti alimenti e ben si sposa con i vini di questa terra. La piadina ha recentemente ottenuto il riconoscimento e quindi la registrazione del marchio Igp (Indicazione geografica protetta): piadina terre di Romagna e piada romagnola (variante di Rimini).
 
Un abbinamento da golosi è quello della piadina con lo squacquerone, formaggio Dop pasta molto molle, di forma rotonda e senza crosta. Delizioso anche con marmellate, saba (sciroppo d’uva o mosto cotto) e savor (conserva di frutta a base di mosto) e fichi caramellati.
 
Altro prodotto tipico della zona è l’olio d’oliva extravergine, di colore giallo con riflessi verdognoli molto intensi. L’odore fruttato tenue e il sapore di media dolcezza e di acidità molto bassa ne fanno una via di mezzo tra il delicato olio ligure e il più deciso olio pugliese.
 

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