Con te partirò… negli Usa. In occasione dell’atteso tour a stelle e strisce di Andrea Bocelli che toccherà Las Vegas il 7 dicembre, Phoenix  l’8, poi Brooklyn, Washington, Tampa e Atlanta, il tenore toscano ha concesso un’intervista esclusiva a L’Italo-Americano. Si è parlato di musica, di America, di solidarietà e della sua ultima fatica, “Passione”.
 
Il suo è uno dei pochi nomi italiani che figurano nella Walk of Fame, qual è il suo rapporto con l’America e che cosa significa per lei questa onorificenza?
Solo pensare in mezzo a quale olimpo esclusivo di artisti mi sono trovato immeritoriamente ad essere, nella mitica Hollywood Boulevard, mi dà le vertigini. È davvero un riconoscimento al quale non mi sono ancora assuefatto. Posso solo dire che ne sono onorato e… felice di esserci! Il calore, l’affetto che negli Stati Uniti la gente mi dimostra, ormai da oltre quindici anni, ogni volta non manca di sorprendermi e commuovermi.
 
Ricordo che mio padre, pur non avendo mai messo piede negli Stati Uniti, era convinto che solo in America il mio talento sarebbe stato valorizzato. Un’idea maturata nelle sue letture, nelle notizie e nelle storie filtrate dall’immaginario collettivo di un paese come l’Italia, che ha guardato da sempre oltreoceano come a una terra mitica di democrazia e di occasioni.
 
Quando è in tour all’estero adatta la scaletta a un pubblico straniero? Ci saranno sorprese in America?
Variazioni ve ne sono, sovente, anche in relazione agli ospiti che di volta in volta mi affiancano sul palcoscenico. Però l’impianto del concerto segue una linea costante, che si traduce nel repertorio coerente con la vocalità tipica del tenore italiano. 
 
Ciò che propongo è la condivisione di pagine immortali dei grandi compositori quali Puccini, Verdi, Mascagni… Musica che non conosce confini e che può essere proposta ad ogni latitudine… Se preso per mano, qualunque pubblico a mio avviso è disposto a scoprire insieme un repertorio che sulle prime può apparire più ostico, ma che è in grado di trasmettere emozioni straordinarie e di offrire un momento di gioia e di sana esaltazione. 
 
Il prossimo tour americano prevede sì delle sorprese, ma – in quanto tali – preferisco non svelarle. Posso però segnalare come la prima parte del concerto sarà legata al grande repertorio lirico, la seconda ai capolavori del pop d’ogni tempo: brani tratti dal mio ultimo album, “Passione”, ma anche da “Incanto”, “Sentimento”, “Vivere”… 
 
Come dico sempre, il mio desiderio principale è che la mia performance si tramuti in una giornata di festa, è che il mio canto comunichi emozioni e se possibile doni serenità, nella condivisione del dolce mistero della musica.
 
Quali sono i duetti che ricorda con più affetto?
Nel campo operistico è più difficile esprimere preferenze… Ricordo con orgoglio le occasioni in cui ho avuto il privilegio di cantare con Luciano Pavarotti, con Placido Domingo e tanti altri colleghi. Sul versante pop, posso citare il concerto in Central Park a New York, nel 2011: nel corso dello show è stato per me un grande onore poter duettare con una leggenda vivente del calibro di Tony Bennett, ma anche tornare a cantare con una mia cara amica, Céline Dion, grande professionista, artista raffinata, persona semplice e amante del proprio lavoro. 
 
Qual è il suo rapporto con la musica pop e come riesce a farla convivere con la musica classica?
Ogni tipo di musica ha la sua profondità. La mia carriera, dal punto di vista della notorietà raggiunta, parte proprio dal pop. E più che fra pop e classica, come non mi stanco di dire, preferisco distinguere fra musica bella e musica brutta.  Ad esempio il mio ultimo album pop, “Passione”, raccoglie alcune tra le canzoni più straordinarie di tutti i tempi, brani senza tempo che non esito a considerare veri e propri capolavori. Seguo i due ambiti, con la maggiore onestà e qualità possibile.      
 
Credo peraltro di essere stato molto fortunato a crescere nel Paese dove è nata l’opera lirica, dove la musica ha sempre avuto uno spazio importante nella quotidianità di ciascuno. La mia più grande gioia sta proprio nel poter portare nel mondo la musica e la cultura della mia terra. Prediligo dunque l’opera, ma non rinnego il pop, anzi: sono moltissime le canzoni che mi piacciono, che mi commuovono ed emozionano, come interprete e come ascoltatore. Se la lirica propone una musica complessa, che ha conosciuto uno sviluppo secolare e che chiede più impegno a chi l’ascolta e a chi la propone (un sacrificio ampiamente ripagato, per l’interprete e per il pubblico), cantare una canzone, invece, è qualcosa di più lieve, è come sussurrare all’orecchio di un bambino…
 
Qual è stata la genesi del suo ultimo album “Passione”? Si può considerare un ideale proseguimento dell’album “Amore”?
È vero, un filo rosso lega idealmente l’ultimo album a quello del 2006 titolato “Amore”. Il grande successo di pubblico che lo aveva accolto (con quasi cinque milioni di dischi venduti) ci aveva incoraggiato a concepire una sorta di volume secondo. Ma “Passione” è qualcosa in più, lo definirei amore “ad alta temperatura”: un titolo che esprime il significato d’incandescente slancio amoroso e dolce tormento sensuale… L’amore passionale è somma di cuore, spirito e sensi: ogni canzone ne esalta una sfumatura, ogni brano è una “variazione sul tema”.
 
Il risultato, di cui sono soddisfatto, è un florilegio di canzoni che hanno infiammato e commosso i ragazzi di venti o trent’anni fa, e che continuano a farlo oggi. 
Rispetto ad “Amore”, qui il baricentro del repertorio è lievemente spostato in direzione d’una maggiore presenza di brani americani. 
 
Ci parli dell’Andrea Bocelli Foundation, come nasce e quali sono le sue iniziative?
La solidarietà è l’unica risposta intelligente alle disuguaglianze: questo è ciò che penso, da sempre. Fin dagli anni ’90 ho partecipato a manifestazioni legate alla filantropia e al supporto di realtà disagiate in tutto il mondo. ABF è un sogno di filantropia divenuto realtà nel 2011. Attualmente ABF opera in prima linea, a livello internazionale, con programmi d’intervento mirati al superamento delle barriere generate da povertà, disabilità, emarginazione sociale.
 
Le iniziative di ABF hanno già coinvolto profili d’assoluta eccellenza (ad esempio, il Premio Nobel Muhammad Yunus), unendo le forze di realtà universitarie e di ricerca all’avanguardia nel mondo, quali il MIT – Massachusetts Institute of Technology di Boston. Proprio i temi della solidarietà e dei progetti filantropici della mia Fondazione sono stati al centro – il 26 giugno scorso – di uno straordinario, indimenticabile incontro con Papa Francesco, che mi ha profondamente colpito.

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