La macchina da scrivere ideata da Olivetti (Ph© Chiarabenedettacondorelli| Dreamstime.com)
Cinquantatre anni fa moriva Adriano Olivetti, l’imprenditore geniale e visionario padre dei moderni computer. 
 
Nato ad Ivrea nel 1901 in una famiglia di industriali, fin da ragazzo lavorò nella fabbrica del padre Camillo che aveva introdotto le prime macchine da scrivere. Nel 1924, un viaggio negli Stati Uniti, aprì la strada al suo futuro di imprenditore portandolo ad applicare con successo, nell’azienda di famiglia, il sistema taylorista usato dalle fabbriche Ford per accorciare i tempi di produzione. 
 
Benché contro l’ascesa del fascismo (ricordiamo la sua partecipazione nel 1926 alla fuga di Filippo Turati in Francia), Adriano, una volta direttore generale dell’Olivetti, cominciò un breve feeling col regime che lo portò nel 1937 alla costruzione di un quartiere residenziale in stile razionalista per gli operai della sua fabbrica. 
 
L’autarchia imposta dal fascismo che vietava l’importazione di prodotti stranieri favorì la crescita vertiginosa delle vendite Olivetti ma allo stesso tempo le leggi razziali e lo scoppio della Seconda Guerra lo convinsero ad avviare attività sovversive. 
 La “mitica” Lettera 22 disegnata da Marco Rizzoli  

 La “mitica” Lettera 22 disegnata da Marco Rizzoli  

 
Nel ’43 finì anche in carcere, accusato di aver avvertito gli americani di non fidarsi del governo Badoglio. Una volta liberato, si rifugiò in Svizzera. Quando nel ’45 riprese le redini dell’azienda, stupì l’Italia adottando criteri originalissimi: as-sunse uno storico come direttore del personale, uno scrittore come direttore commerciale, scelse personalmente operai ed impiegati sulla base di prove calligrafiche e psicologiche, intellettuali e artisti occuparono la direzione dei servizi sociali e l’ufficio pubblicità. Pasolini e De Filippo parteciparono alle iniziative culturali dell’azienda. 
 
Nel libro “L’ordine politico delle comunità”, scritto in esilio, esponeva le sue teorie di solidarietà sociale immaginando un capitalismo “a misura d’uomo”: non solo catene di montaggio ma anche mense, ambulatori, asili, biblioteche con corsi per adulti, mostre e conferenze rivolte alla comprensione dei valori della cultura. La fabbrica di Ivrea diventò il modello di un’organizzazione del lavoro diversa, una sintesi tra cultura scientifica e cultura umanistica. 
 
Nel 1950, la creazione della macchina da scrivere Lettera 22, disegnata da Marco Rizzoli, uno dei grandi designer che gravitavano attorno all’imprenditore, divenne un simbolo di prestigio del Made in Italy nel mondo. 
 
Ma la rivoluzione più grande avvenne dopo l’incontro con Mario Tchou, un ingegnere italo-cinese con cui promosse la ricerca su macchine elettroniche. Nel 1957 nacque Elea 9003, il primo calcolatore a transistor, progettato da Ettore Sottsass e, nel 1964, la Programma 101, il primo elaboratore da scrivania, disegnato da Mario Bellini, considerato l’antenato dei moderni computer. 
 
Nel giro di 20 anni l’Olivetti diventerà l’unica azienda italiana a produrre personal computer. Vennero prese anche altre misure innovatrici per l’epoca: i salari aumentarono di quasi il 20 per cento rispetto al contratto nazionale, alle donne spettarono 9 mesi di maternità retribuiti, il sabato venne dato libero, l’orario passò da 48 a 45 ore settimanali. 
 
L’avversione dei gruppi industriali del Nord agli investimenti nel settore elettronico impedì ad Olivetti di attuare la rivoluzione elettronica su scala mondiale. 
Adriano scomparve improvvisamente il 27 febbraio 1960 a causa di un infarto ma il suo sogno sarà realizzato più di 20 anni dopo in California. 
 
Casualmente, a Cupertino, a due isolati dall’Olivetti Advanced Technology Center, nascerà  Apple. L’affascinante tesi di Art Molella, presidente del Lemson Center for Study of Invention di Washington, nell’articolo The Italian Soul of Steve Jobs, sostiene che il guru della Apple si sia ispirato proprio allo stile Olivetti ed ai grandi designer italiani. Il suo amore per lo stile italiano è attestato dal fatto che fece ricoprire i pavimenti e la superficie esterna degli Apple Stores con la pietra di colore grigio-blu dei marciapiedi di Firenze. Senza badare a spese, Jobs, volle la stessa pietra della stessa cava, il Casone di Pietraserena, impegnando gli artigiani fiorentini per tagliare i blocchi in lastre. 
 
Molella ci ricorda anche che nei primi anni ’90, Steve Jobs, allora poco conosciuto, visitò l’azienda di Ivrea e cercò di contrattare Mario Bellini. Quest’ultimo avendo un contratto di consulenza esclusiva con Olivetti non poté accettare la collaborarazione con Apple. Dal 1997 in poi, cercò anche altri astri del design italiano come Giorgetto Giugiaro e Ettore Sottsass, famoso per il suo lavoro all’Olivetti. 
Sebbene Olivetti e Jobs siano vissuti in contesti molto diversi, l’Italia degli anni ’40-’50 e la California degli anni ’70-’80, alcuni forti parallelismi possono essere trovati: il fatto di credere in una rivoluzione informatica e l’importanza attribuita al design sono i due denominatori della stessa capacità di sognare il futuro.  

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