Roy Campanella era piccolo e robusto e niente faceva presagire che potesse diventare una stella dello sport. Eppure il suo destino si sarebbe compiuto in due grandi tappe, la prima della quale lo portò nella Hall of Fame del Baseball americano, vera e propria icona di uno sport che avrebbe regalato più di un cognome italiano alla propria storia.
 
La seconda tappa sulla sedia a rotelle. Conseguenza di un incidente stradale avvenuto in una fredda sera del 28 gennaio del 1958, quando la sua auto slittò su una lastra di ghiaccio e andò a urtare un palo del telefono. La frattura della quinta e sesta vertebra lo condannò alla paralisi dalle spalle in giù e solo la sua grande forza di volontà gli permise di recuperare l’uso degli arti superiori, trasformando la seconda parte della sua vita in un impegno costante in favore dei disabili. 
 
Roy Campanella era nato a Philadelphia il 19 novembre del 1921, figlio di un americano originario della Sicilia e di una donna afro-americana. L’italo-americano dalla pelle scura dimostrò fin da piccolo di avere ereditato le doti di resistenza della propria genia e trovò nel baseball il naturale sfogo alla propria energia giovanile. Il primo ostacolo, per Roy si presentò sotto forma di barriera razziale. Nonostante il cognome italiano, il suo talento venne subito bollato utile per la Negro League, vera e propria fucina di talenti di colore nella prima metà del ventesimo secolo. 
 Una delle copertine che gli dedicò il settimanale Time

 Una delle copertine che gli dedicò il settimanale Time

Furono gli Washington Elite Giants a credere nel talento sportivo del giovane Roy. Era il 1937 e per Roy lo sport coincise con l’abbandono del percorso scolastico a sedici anni. Roy seguì la squadra nello spostamento logistico a Baltimora affermandosi come vera e propria stella della formazione. Dal 1942 al 1943 l’italo-americano giocò nella Mexican League con i Monterrey Sultans mantenendo intatte le qualità agonistiche. Gli anni seguenti videro l’atleta giocare con una formazione All-Star di colore e durante uno dei confronti si imbatté nell’allenatore Charlie Dressen che lo volle nei Brooklyn Dodgers.
Erano gli anni in cui proprio questa formazione stava rompendo la barriera ostruzionistica contro i giocatori di colore. Nel 1946 Campanella venne spedito ai Nashua Dodgers, la prima squadra professionistica a mettere in campo una formazione con giocatori di colore. 
 
Due anni dopo l’italo-americano di colore esordì nel massimo campionato di baseball (Mayor League) nelle file dei Brooklyn Dodgers trasformando il suo nome in leggenda. Con il numero 39 di casacca vinse il Most Valuable Player Award della National League nel 1951,1953 e 1955 vantando ruoli stratosferici. 
 
Campanella infranse il record di franchigia saldamente detenuto da Fournier a partire dal 1925 piazzandosi (ancora oggi) al secondo posto di tutti i tempi. Si guadagnò anche il record di 40 home runs nelle partite come catcher, mantenendolo fino al 1996. Grazie al suo talento, i Dodgers vinsero la loro prima World Series Championship ai danni degli Yankees. Nel 1957 la squadra si trasferì a Los Angeles e assunse il nome di Los Angeles Dodgers per entrare nella leggenda del baseball ma Roy Campanella non fece in tempo a partecipare ai grandi successi della società. O almeno non come giocatore. 
 
Dopo il tragico incidente, avvenuto a Glen Cove, New York, la stella del baseball iniziò una personale battaglia contro la sfortuna. Rimasto inizialmente paraplegico, con una intensa terapia fisica riuscì a riguadagnare l’uso consistente di braccia e mani. Tornò a nutrirsi da solo e a stringere le mani ma rimase per tutta la vita sulla sedia a rotelle. Non abbandonò però i suoi amati Dodgers. Nominato nel 1959 supervisore degli scouting per la costa orientale degli Stati Uniti, iniziò una proficua carriera di scopritore di talenti e nel 1978 si trasferì in California per diventare assistente dell’amico (ex compagno di squadra) Don Newcombe. 
 
La squadra lo ricambiò con affetto organizzando il “Roy Cam-panella Night” al Los Angeles Memorial Coliseum e giocando contro i New York Yankees trascinando sugli spalti 93.103 spettatori, un vero record per l’epoca. Nel 1969 Campanella entrò a far parte della Hall of Fame e lo stesso anno ricevette il “Bronze Medallion” dalla città di New York. Nel 1972 i Dodgers decisero di ritirare per sempre la maglia numero 39 e nel 2006 il volto dell’atleta italo-americano è stato immortalato in un francobollo degli Stati Uniti. 
 
Nello stesso anno i Los Angeles Dodgers hanno creato il “Roy Campanella Award”. 
La vita privata vide Roy sposo tre volte. Bernice Ray (1939), Ruthe Willis (1945), Roxie Doles (1964) gli regalarono cinque figli. Con Roxie decise di condividere l’impegno in favore dei disabili. 
 
Nel 1991 creò la “The Roy and Roxie Campanella Physical Therapy Scholarship Foundation”, un’organizzazione di supporto al recupero fisico dei paraplegici, che ogni anno assegna borse di studio a studenti che intraprendono la carriera fisioterapica nel campo delle disabilità motorie. La fondazione rappresentò l’ultima delle sue tappe di successo. Ma quest’ultimo lo condivise con le migliaia di persone che si battevano giornalmente per recuperare tenacemente l’uso del proprio corpo.
 
“Campy” (questo il suo soprannome nel mondo del baseball) morì improvvisamente il 26 giugno del 1993 nella sua casa di Woodland Hills, in California, ma il suo esempio ancora oggi testimonia che nulla è precluso a chi non smette di credere nei propri mezzi. Tramandando a tanti ragazzi il più grande dei suoi pregi: la tenacia.

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