Fino alla fine degli anni ‘50 i riti liturgici si celebravano in lingua latina. La santa messa, la benedizione eucaristica, i funerali, l’Ufficio Divino (articolato nelle sue ore canoniche di mattutino, lodi, prima, terza, sesta, nona, vespri, e compieta) delle comunità monastiche o delle chiese cattedrali (cioè dove la preghiera era praticata in coro), tutto si svolgeva in lingua latina. 
 
Sicché nella messa, tutte le preghiere assembleari era recitate o cantate anche dal popolo, sempre in latino. Così, come in latino si recitavano le antifone, i salmi, i responsori, le sequenze, le preghiere. E in latino si leggevano anche le sacre scritture della messa domenicale e di tutte le solennità dell’anno liturgico. Le melodie, quelle di più lunga tradizione, erano quelle del canto gregoriano. Se no, era il cosiddetto polifonico, vale a dire il barocco. Arricchite anche da tutta una serie di canti e mottetti, che tradivano, di volta in volta, lo stile del periodo della loro composizione. 
 
Da questo quadro generale scaturiva anche che in certe comunità familiari anche le preghiere devozionali quotidiane, come il Rosario, erano recitate in latino. 
Praticamente, il fedele che praticava assiduamente la chiesa già all’età di dieci/dodici anni si trovava a conoscere nella lingua latina tutte le preghiere del repertorio minimo; a partire dal segno della croce. 
 
Però il fatto stesso che il latino non fosse una lingua trasparente per tutti i fedeli aveva favorito un’abbondanza produzione di pratiche devozionali che si svolgevano nella lingua italiana, e talvolta anche nei dialetti locali, per la soddisfazione del popolo: le quarant’ore, le novene, i tridui, le coroncine, i cicli di predicazione (tridui, novene, preghiere del mese di maggio o giugno), oltre poi alle diverse forme di rappresentazione dei misteri (pellegrinaggi, processioni, sacre rappresentazioni, ecc.) in quelle realtà dove più radicata era la tradizione, a causa di un comune sentire i valori dello spirito e il conseguente fervore della vita religiosa. 
 
Ancora oggi si trovano, in alcuni libri più completi, i testi latini di inni e preghiere le cui melodie gregoriane sono vive nella memoria anche dei più giovani, perché ancora si sentivano cantare nelle chiese in determinate celebrazioni nel tardo periodo dell’uso della lingua latina. 
 
“Veni creator spiritus” (Vieni Spirito creatore!), “Pange lingua” (Canta, o lingua!) di cui le ultime due strofe: “Tantum ergo” (Veneriamo un così grande Sacramento!) costituivano il canto che precedeva la benedizione eucaristica; il “Te Deum” (O Dio, ti lodiamo), inno di ringraziamento;  fino al “Credo” e al “Gloria” della messa. Poi: il “Libera me Domine” (Liberami o Signore) della celebrazione dei defunti, il “Dies irae” (Il giorno del giudizio divino), e tanti altri Inni, Sequenze o Mottetti che erano stati un patrimonio culturale fino alla generazione di molti nostri genitori.  
 
Ancora nel 1962 si pubblicava una novena di Natale in gregoriano, di cui mi risuona nella memoria il bellissimo inno: “En clara vox redarguit” (Ecco, una voce chiara ci richiama). Ed era praticata in molte chiese. 
 
Ma il canto natalizio della nostra tradizione, fra i tanti che si sentono oggi, il più diffuso, il più universalmente conosciuto, è il popolarissimo “Tu scendi dalle stelle” di S. Alfondo Maria de’ Liguori. Che trova il suo precedente in quel magnifico canto in lingua napoletana che è “Quanno nascette Ninno a Betlemme”.
Ed erano questi i canti che circolavano anche nelle famiglie; e si cantavano la notte di Natale davanti al presepe, o il giorno dell’Epifania, quando la statuetta del bambinello Gesù si portava in processione per le case.
 
Invece, la sera dell’ultimo dell’anno, nella lunga attesa della mezzanotte, dove la tradizione era un valore morale oltre che culturale, e dove in famiglia era rimasto ancora un buontempone che sapesse intonarla, si cantava con la partecipazione dei presenti la “Canzone de lo Capodanno”.  
 
Mentre, scoccata la mezzanotte, dopo aver brindato all’anno nuovo, prima di salutarsi per andare a dormire, o intrattenersi con gli amici del vicinato nel gioco della tombola o negli altri giochi da tavolo, si cantava insieme il Te Deum, l’inno di ringraziamento a Dio per l’anno appena trascorso;e a Lui si dava lode e gloria invocandone protezione e benedizione per il nuovo anno.
 

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