Annusare, assaggiare, riconoscere aromi e sapori. Educare il palato in modo che l’esperienza sensoriale porti poco alla volta a distinguere, e dunque scegliere, i prodotti migliori. L’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles ha ospitato una “lezione di gusto” di Orietta Gianjorio. Ad un pubblico molto incuriosito e partecipe ha insegnato a riconoscere il valore del buon olio d’oliva italiano.

Nata e cresciuta a Roma da una famiglia pugliese originaria di Acquaviva delle Fonti è una Sommelier italiana nota in America per il suo programma sul vino e le numerose partecipazioni ai programmi di Nbc, Fox e Cbs. Fondatrice del movimento ‘Italian Women Know Food and Wine’ e membro della UC Davis Olive Oil Taste Panel, con un’accattivante mimica e gestualità italiana, ha invitato tutti a non fermarsi alle etichette: la qualità di un prodotto si può valutare con le proprie papille gustative. Basta allenarle. L’Italo-Americano l’ha intervistata dopo un interessante seminario. Lo sapevate, ad esempio, che per accorgersi dei sapori bisogna evitare shampoo o make up profumati ed è meglio non fumare una sigaretta per non alterare quel che si sta per assaggiare?
 
È difficile insegnare che cosa sono l’olio d’oliva e l’extravergine italiano agli americani?
Sì, è abbastanza difficile e per molti motivi. La mentalità americana del grande è meglio, quindi della quantità piuttosto della qualità, è molto difficile da sradicare. E lo è anche perchè, sfortunatamente, le associazioni che si dovrebbero occupare della qualità dell’olio d’oliva mancano di informazioni nei confronti del consumatore e molti come me, che sono esperti, usano delle terminologie che sono incomprensibili per una persona che vuole semplicemente avere informazioni minime per andarsi a comprare una bottiglia di olio d’oliva “buono”.
 
Quanto si usa l’olio d’oliva nella cucina americana, composta da tante cucine etnicamente diverse?
Poco. Si usano di più le salse o il burro. L’olio di oliva si usa poco, a meno che non si faccia una cucina prettamente italiana o mediterranea, quindi anche greca o turca. Ma l’olio d’oliva non si mette sugli hamburger, con l’olio d’oliva non si friggono le patatine e quindi è chiaro che qui si usa pochissimo.
 
L’Italia ha una gran varietà di olive e di oli. Alcuni sono particolarmente rinomati. Ad esempio, lei come presenta l’olio pugliese in America?
L’olio d’oliva pugliese non ha bisogno di presentazioni. È un prodotto fenomenale. È forte, è quel pungente un po’ amaro. Sfortunatamente gli americani conoscono solo l’olio d’oliva toscano, e quindi bisogna insegnare loro che la Puglia produce un olio d’oliva eccezionale che vale la pena provare. Si stanno un pò adeguando a vedere l’Italia non solo come la Toscana, ma come un’intera penisola che andrebbe visitata da su a giù, isole comprese.
 
L’altro olio d’eccellenza è appunto quello toscano.
L’olio toscano lo conoscono benissimo. Quello che dico però, è che la varietà toscana va conosciuta nei dettagli, cioè quella che viene venduta come varietà toscana ha determinate cultivar che vanno a influire sull’aroma e sul gusto. Vanno conosciute perchè spesso fanno parte di altri oli d’oliva che non sono quello toscano.
 
Per quanto riguarda l’olio d’oliva un grande problema è la contraffazione. Come si può combattere?
È un grandissimo problema. Soprattutto perché chi in malafede produce un olio d’oliva contraffatto, che poi viene esportato nel mercato americano, rovina l’immagine dell’olio italiano per tutti gli altri che invece vorrebbero produrre qualcosa di più genuino e più buono. Però devo dire che sia la Guardia di Finanza che altre associazioni italiane sono attive affinché questo non succeda e affinché il prodotto esportato, che è una grande ricchezza per l’Italia come lo sono la cucina e il turismo, sia acquistabile in tutta tranquillità. Sono sicura che il mercato italiano ha una risposta molto forte nei confronti di questi malfattori.
 
È importante però, oltre alla tutela dei prodotti affidata ai controlli, diffondere la “cultura” dell’olio d’oliva perchè siano i consumatori stessi a scartare l’olio cattivo.
E questo è il nostro lavoro. Il lavoro di rapportarsi con il pubblico usando terminologie comprensibili così che quando compra un prodotto, che non è un extravergine di altissima qualità, sia il primo a rendersene conto. Il consumatore non ha bisogno di esperti, ha un palato che si può rendere conto delle contraffazioni. Diffondere la cultura dell’olio però, non è una strada facile perché raggiunge solo una certa percentuale di acquirenti potenziali. Il resto delle persone si devono per forza fidare del produttore. Il mio consiglio è di scegliere produttori per i quali si è fatta molta ricerca. Un po’ come si fa per un medico. Bisognerebbe fare altrettanta ricerca per quel che si mangia.
 
Una domanda un pò provocatoria: olio e vino, e anche di buona qualità, cominciano a farli anche in Usa. Non c’è il rischio che il nostro olio diventi superfluo per gli americani o che in Italia si venda il prodotto californiano?
Ma guardi, per me questo sarebbe un consiglio. Sfortunatamente cibo e vino subiscono danni grandissimi nei trasporti da una parte all’altra. Quindi, sfortunatamente, io mi sento di dire “mangiate e bevete prodotti locali”. A meno che non conosciate un produttore che trasporta le bottiglie in un modo più che opportuno. Ora, se c’è qualcuno che in Italia compra olio d’oliva californiano, che ben venga. Però li devo mettere in guardia: se la nostra legislazione, pur con dei problemi, è ad altissimi livelli, la legislazione americana nei confronti dell’olio d’oliva non lo è ancora. Quindi attenzione alle etichette, sempre.
 
E se l’olio d’oliva americano diventasse più buono del nostro?
Per ora ancora non lo è, ma quello californiano è un buon prodotto. Ci sono produttori che stanno facendo un grosso lavoro, di grande qualità, e delle associazioni che stanno ottenendo ottimi risultati. Ora, che possa competere con quello italiano non lo so…

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