Olginate, comune lombardo di 7.093 abitanti della provincia brianzola di Lecco.

L’ipotesi più accreditata fa derivare il nome dal termine gallico-antico “augia” ovvero terre d’acqua. Più leggendaria la tesi che lo legherebbe al capitano goto “Olgina-Adda”. L’insediamento sulla riva dell’Adda deriva dalla presenza di un agevole guado per passare il fiume. Il transito di genti e merci, unitamente alla pescosità delle acque, favorì la formazione di un nucleo abitativo stabile, la cui esistenza è testimoniata almeno a partire dal periodo imperiale romano. Lo confermano il ritrovamento di tre sepolture risalenti al IV sec. d.C. e i resti parzialmente visibili nel letto dell’Adda dei piloni del ponte costruito dai romani nel III sec. d.C. per la strada militare tra Bergamo a Como.

 Olginate sorge in prossimità di un guado storico del fiume Adda

 Olginate sorge in prossimità di un guado storico del fiume Adda

Il ponte finì distrutto, nel VI sec. nel corso delle guerre tra Goti e Bizantini e, non venne più ricostruito. In epoca medievale “Ulzinate”, così detto in una carta del 1202, doveva apparire già ben definito in edifici, con la torre dei D’Adda e quella dei Crotti, la chiesa altomedievale di S. Margherita e il cimitero, la torre di guardia all’approdo del traghetto. Fedele ai Visconti e poi agli Sforza, signori di Milano, nel Cinquecento venne scelto da Carlo Borromeo come punto strategico nella riorganizzazione della Diocesi di Milano. Il Seicento fu caratterizzato dalla dominazione spagnola e da epidemie, che portarono a un declino economico.

Al passaggio dei territori sotto gli Austriaci, avvenuto all’inizio del Settecento, si ebbe una ripresa delle attività commerciali e l’insediamento delle industrie della lavorazione della seta, settore attivo fino al Novecento, mentre l’economia di fiume si esaurì gradualmente. Una tradizionale ricorrenza cade alla fine del mese di gennaio. Per il cosiddetto “brusa ginée” ancora oggi viene organizzato un rumoroso corteo per le vie del paese e viene acceso un falò sul quale viene bruciato un fantoccio, simbolo del freddo dell’inverno che si intende scacciare. 

Palmoli è un comune abruzzese di 971 abitanti della provincia di Chieti.
 
Il nome, nella sua forma più antica, è “Palmula” ed appare per la prima volta in un atto del 1115. Fu chiamata così perché, prima che vi fosse edificato il Castello, quando la gente si arroccò sul monte, questo era ricoperto da ulivi silvestri dal caratteristico color verde scuro, che spiccava tra il fitto bosco di querce secolari. Perciò la tradizione popolare l’ha chiamato per lungo tempo “Palmoli Monteverde”.
Le origini del paese vanno ricercate nell’epoca in cui la zona fu abitata dai Frentani divenendo in seguito dipendenza romana. Verso l’anno 1000 gli abitanti si arroccarono sul monte attuale. Perchè? Dopo le invasioni Longobarde del VI sec. e Saracene del  IX e X sec., gli abitanti delle campagne e dei “Pagi” circostanti il fiume Treste cominciarono a risalire l’altura fino a quando, nell’XI sec., dopo i Normanni, arrivarono a stabilirsi in cima al monte per meglio proteggersi dalle orde barbariche. In questo periodo venne costruito il borgo fortificato con il castello marchesale.
 
L’attuale castello ha conosciuto almeno tre fasi di costruzione e ampliamento: la prima nel periodo Svevo-angioino con la costruzione della torre cilindrica centrale, i merli guelfi con la scarpa dodecagonale e il passetto che metteva in comunicazione la torre con l’appartamento del signore; la seconda fase nel periodo D’Angiò-Durazzo (intorno al 1400) ha visto la costruzione del palazzo Marchesale, ora sede degli uffici comunali; nella terza fase, nel periodo Borbonico (1772) il Marchese Severino di Gagliati fece costruire la Cappella di San Carlo annessa al castello. Al centro del borgo medioevale sorge la Chiesa Madre S. Maria delle Grazie costruita intorno al 1500 probabilmente su una chiesa più antica risalente al 1300. Il marchese di Gagliati ottenne nel 1824 la traslazione della salma del martire Valentino. La devozione è cresciuta sempre di più tant’è che i palmolesi venerano e festeggiano il santo oltre al 14 febbraio, giorno del suo martirio, anche la prima domenica di settembre.
 
Qualiano, comune campano di 25.396 abitanti della provincia di Napoli. 

 Il ponte Surriento (a tre arcate) di epoca borbonica a Qualiano

 Il ponte Surriento (a tre arcate) di epoca borbonica a Qualiano

 
In epoca antica si chiamava Caloianum, come si evince dal primo elenco completo dei casali del regno di Napoli; in un elenco successivo, di epoca angioina, si trasforma in Coliana. Qualiano ha dato origine a due tesi interpretative sul significato del termine: una fa risalire l’origine del nome in Colo Ianum, per culto al dio Giano (lo confermerebbe il ritrovamento di una grossa testa di divinità bifronte e barbuta); l’altra lo riconduce a Gaudianum, nel senso di “città nel bosco”, pur evidenziando che il toponimo Gualdo è diffuso in tutto il territorio del ducato Longobardo.
 
Oggi la cittadina è parte dell’agglomerato urbano di Napoli. Negli ultimi trent’anni, un vasto processo di speculazione edilizia ha portato ad un’abnorme assorbimento di persone che ha sconvolto in maniera irreparabile gli equilibri socio-economici-ambientali preesistenti. Le ipotesi storiche sull’origine di Qualiano vengono avvalorate da svariati ritrovamenti archeologici e dalla sua posizione geografica: era punto nodale per raggiungere Cuma da Capua a Roma. Qualiano era un centro di stazionamento per le legioni di soldati romani che scendevano da Roma per proseguire verso Cuma. Di questo tracciato viario è testimone la strada Consolare Campana che raggiungeva Capua, Aversa e Pozzuoli disseminata di tombe, ville patrizie, cisterne per la conservazione dell’acqua ed una villa rustica di notevole interesse storico-archeologico.
 
L’insediamento è però di epoca preesistente come testimonia una necropoli del IV secolo a.C. con 22 tombe il cui corredo è oggi al Museo archeologico di Napoli. In tempi moderni, dopo l’era angioino-aragonese e il viceregno spagnolo (1500 e 1600) il II periodo borbonico (1815-1860) ebbe notevole importanza sotto il profilo urbanistico. Ferdinando II fece sistemare la Via Campana, facendole scavalcare l’Alveo dei Camaldoli con un ponte a tre arcate (detto ponte “di Surriento” ancora oggi esistente), per migliorare i collegamenti con il porto di Pozzuoli.
 
 

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