Il castello di Gorizia (Ph © Sergii Krynytsia| Dreamstime.com)

Se l’Europa allargata punta a diventare unita nella diversità, il Friuli Venezia Giulia è già così.  In una regione incastonata tra le cime delle Alpi, le onde del mar Adriatico, le Dolomiti e le colline del Collio, si incontrano la cultura italiana, slava e germanica in un caleidoscopio di tradizioni, lingue e confessioni.   

È un territorio che premia i visitatori con una ricchezza che sorprende da ogni angolazione.  In provincia di Udine, Paluzza sorge a 605 metri in Val But di cui costituisce il principale centro, nella regione montana della Carnia. Si trova in una conca circondata dai monti Paularo, Cimon di Crasulina e Creta di Timau a Nord, Tersadia e Arvenis a Sud. Fra le sue valli vi sono i laghetti di Timau e la frazione Tischlbong, un’isola alloglotta germanica dove si parla un particolare dialetto tedesco.   La Torre Moscarda si trova nella località di “Enfretors” (con il significato di “Tra le torri”): in origine una seconda torre si trovava sul lato opposto del fiume, ma venne demolita nel 1836. Le torri facevano parte di un’estesa rete di fortificazioni (Castrum Muscardum) costruito alla metà del XIII secolo dal patriarca di Aquileia Gregorio di Montelongo, anche con funzioni doganali. Sul colle si trova la chiesa di San Daniele e vestigia di fortificazioni romane ma pure fortini risalenti alla Grande Guerra.   

A Paluzza si trova il Cesfam, Centro Servizi per le foreste e le attività della montagna, riferimento interregionale per la formazione e l’aggiornamento professionale, manageriale e tecnico nei settori forestale, naturalistico, ambientale, faunistico-venatorio e dello sviluppo della montagna. Timau è invece un tipico “Strassendorf’ cioè paese lineare, schierato lungo la strada. È attraversato per tutta la lunghezza dalla statale 52 bis che porta al vicino Passo di Monte Croce Carnico, che segna il confine tra Italia e Austria.      È via di passaggio ancora oggi, soprattutto d’estate, quando è percorsa dai turisti provenienti dal Nord Europa.  In passato l’abitato di Timau si trovava un po’ più nella valle, su uno di quei ripiani dove oggi sorge isolato il Tempio Ossario. Tale posizione però era molto più esposta al pericolo delle alluvioni, come quella famosa del 1729, che ha provocato il trasferimento dell’abitato nella posizione attuale. Qui sono collocati alcuni edifici storici, tra i quali il Museo della Grande Guerra.   

La Creta di Timau sovrasta il paese per oltre mille metri di dislivello, con grandi solchi incisi nella parete e con la roccia a tratti nascosta da un fitto strato di vegetazione. L’unico punto che attira, con la sua autentica verticalità, è Ganzschpiz (Pizzo del Camoscio). Ma, nelle giornate senza foschia, lo sguardo del passante è attirato più verso  nord, dove si innalzano nel cielo le creste della Cjanevate e, un poco più a occidente, le cime del Cogliàns, che con i suoi 2780 metri è la vetta più alta delle Alpi Carniche. L’idrografia della valle di Timau fa capo al bacino del fiume Bût, un tempo caratterizzato da una successione di rapide, oggi in gran parte sostituite da imponenti opere artificiali che rompono l’impeto delle acque in modo da ridurne la pendenza.   

Tipico è anche il “Fontanon”, una sorgente che scaturisce dal pendio alla base della parete del Ganzschpitz e, con un salto di un centinaio di metri, confluisce nel fiume principale.  Dal paese partivano durante la Prima Guerra Mondiale le “Portatrici”, per le quali il Generale Lequio, Comandante il settore “Carnia”, ebbe parole di altissima stima e plauso e che erano una vera e propria forza di supporto ai combattenti al fronte.    Dotate di un apposito bracciale rosso con stampigliato il numero del reparto da cui dipendevano, erano adibite per i rifornimenti sino alle prime linee con carichi di trenta – quaranta e più chili. 

La loro età variava dai quindici ai sessant’anni e, nelle emergenze, venivano affiancate da ragazzi e vecchi. Nei casi di particolare necessità o urgenza, potevano essere chiamate in ogni ora del giorno e della notte; per il loro servizio furono compensate con una lira e cinquanta centesimi a viaggio equivalenti a 3 euro odierni.  Tre di loro rimasero ferite: Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz da Timau e Rosalia Primus da Cleulis. Una fu colpita a morte: Maria Plozner Mentil, una donna eccezionale, molto benvoluta sia per la bontà d’animo che per lo spirito d’altruismo. Si può dire che delle portatrici ne fu l’anima e la guida trascinatrice. Sempre in prima fila, in tutte le circostanze, durante i bombardamenti delle artiglierie austriache e quando fischiavano le pallottole, lei infondeva coraggio alle compagne in preda a comprensibili paure e smarrimenti.   

Questa donna, madre esemplare e coraggiosa, cadde il 15 febbraio 1916. Un cecchino austriaco, appostato a circa 300 metri, le aveva sparato mentre, unitamente alla sua inseparabile amica Rosalia di Cleulis, stava concedendosi un breve riposo dopo aver scaricato dalla gerla un pesante carico di munizioni a Malpasso di Promosio, sopra Timau. Nella notte dello stesso giorno spirò nell’ospedaletto da campo di Paluzza, assistita da uno zio, trovandosi il marito combattente sul Carso. Aveva appena 32 anni e lasciò 4 creature in tenera età: la più grande aveva 10 anni, la più piccola appena sei mesi.  I funerali furono celebrati con gli onori militari con la presenza delle compagne portatrici e dei parenti e fu seppellita nel cimitero di Paluzza dove rimase sino al 3 giugno 1934, allorchè venne solennemente traslata al cimitero di guerra di Timau da dove, nel 1937, venne trasferita nel locale Tempio Ossario, accanto ai resti di 1763 caduti sul sovrastante fronte.   

Nel 1997 il Presidente della Repubblica italiano ha conferito, la medaglia d’oro al valor militare alla memoria dell’Eroina Maria Plozner Mentil quale ideale rappresentante di tutte le Portatrici. Oggi a Paluzza si trova l’unica caserma italiana intitolata ad una donna: la caserma degli alpini Maria Plozner Mentil.  Lasciamo Udine per spostarci più a est, verso Gorizia.   Il castello, forse il più noto monumento della città, sorge sul punto più alto di un ripido colle. Il maniero accoglie i visitatori con un leone veneziano. Con il restauro del 1937, resosi necessario a seguito dei gravi danni subiti dall’edificio durante la Grande guerra, non venne però ripristinato il palazzo rinascimentale precedente, intonacato di bianco, bensì le sembianze che aveva probabilmente il Castello nel 1300, al tempo del massimo splendore dei Conti, con la pietra a vista.  

Nell’interno, sono ancora visibili, in una corte che prende nome dalle guardie del castello, la Corte dei Lanzi, le fonde della torre, abbattuta nel 1500. Di qui si può accedere al Palazzo degli Stati Provinciali e al Palazzetto Veneto. Ad occidente del castello sorge il centro storico della città con la Cappella del Santo Spirito e il borgo medievale, mentre a sud-est si estendono le zone residenziali, con numerose ville e ampi giardini. Le pendici orientali (a ridosso del confine con la Slovenia) e settentrionali del colle su cui si erge il maniero sono invece coperte da una fitta vegetazione a carattere prevalentemente boschivo, in parte di proprietà della curia arcivescovile in parte del Comune.   

Nella porzione appartenente al Municipio e che si estende per oltre quattro ettari, si trovava il vivaio comunale, da tempo adibito a parco. Dedicato a S. Ilaria di Aquileia e a S. Taziano ed elevato al rango di cattedrale nel 1752, il Duomo è il principale edificio ecclesiastico di Gorizia. Deriva da una chiesetta, anch’essa intitolata ai due santi, eretta probabilmente a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo e successivamente incorporata alla vicina cappella di Sant’Acazio.   

Il Duomo subì radicali modifiche nei secoli e molti danni durante la I Guerra Mondiale. Inoltre raccolse l’eredità del Patriarcato di Aquileia quando questo fu ufficialmente soppresso nel 175 e conserva parte del tesoro che appartenne a suo tempo alla Basilica di Aquileia, costituito da opere ed oggetti sacri di alto valore storico ed artistico, fra cui un pastorale dell’XI secolo, 4 reliquiari, la croce dei principi, di fattura trecentesca, paramenti, argenti e mobili.


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