Siamo tutti figli del nostro passato e genitori del futuro a venire. Per questo ogni generazione ha l’obbligo di conservare le memorie, i ricordi di quelli che ci hanno preceduti. La nostra memoria deve però contenere sia quegli atti dove abbiamo operato bene, sia quelli dove abbiamo sbagliato per poter ripetere i primi ed evitare i secondi.
 
 Sappiamo già che non facciamo abbastanza per ricordare il nostro passato e che abbiamo la tendenza di scordare chi se n’è andato per accogliere il nuovo in arrivo, però, per una categoria di nostri connazionali, questi ricordi hanno una importanza fondamentale: le generazioni che, con una decisione dolorosa, hanno preparato lontano dal paese natio la base del rilancio del nostro Paese dopo le catastrofi delle due Guerre Mondiali.
 
 I nostri emigrati hanno lasciato un Paese che soffriva per i morti e i danni di quei conflitti. Sapevano di non avere più possibilità in Patria e hanno deciso di fare un passo che non solo ha permesso loro di dare un futuro migliore ai figli, ma anche di dare un contributo importantissimo al loro Paese di nascita.
 Chissà quanti professionisti che ora praticano in questo Paese hanno potuto ottenere le loro lauree grazie ai contributi di parenti che non hanno mai conosciuto che vivono all’estero. Chissà quante imprese sono state lanciate da soldi inviati da fratelli e sorelle emigrati che volevano assicurare anche ai parenti rimasti in Italia una nuova vita. 
 
Estendo ora queste domande alle ultime due generazioni di italiani. Quanti di loro sanno che per i due decenni dopo la guerra i soldi degli italiani spediti dall’estero erano sempre tra le cinque fonti più importanti di valuta estera del nostro Paese e che una grande parte del Boom Economico della fine degli anni Cinquanta e inizi anni Sessanta è dovuto a quei soldi?
Il Paese ha scordato che chi ha lasciato la sua patria in quegli anni non l’ha abbandonata, ma ha continuato a dare un contributo a tutti attraverso le loro famiglie.
 Questo ricordo non è purtroppo l’unico che stiamo perdendo di quelle generazioni costrette a lasciare il Paese. Sappiamo poco della vita quotidiana di quelle generazioni e quel poco che sappiamo, spesso, viene dai luoghi comuni che comprendono gran parte dei programmi televisivi e i relativamente pochi libri che sono usciti sull’argomento.
 
 Una fonte recente di questi ricordi è il libro “Andarsene Sognando” di Eugenio Marino, che raccoglie la musica dell’emigrazione italiana nel mondo. Allo stesso modo il giornalista Gian Antonio Stella ha scritto libri e presentato spettacoli di una parte di queste esperienze. Esistono poi rapporti ufficiali delle varie comunità italiane nel mondo che raccontano cifre e statistiche ma non ci fanno capire la cosa più importante dei nostri parenti e amici sparsi per il mondo. Non sappiamo chi sono le persone comprese nelle statistiche e nei rapporti ufficiali. Non sappiamo cosa hanno fatto queste persone partite sui bastimenti che le canzoni ricordano. I racconti dei morti e i naufragi raccontano solo una parte delle difficoltà degli italiani che hanno dovuto partire da zero. Sappiamo poco o niente delle loro esperienze, sull’accoglienza avuta una volta superata la porta d’ingresso dei loro nuovi Paesi.
 
Per quel che riguarda le persone, i libri più importanti sono quelli che ci portano le parole dei protagonisti stessi. Per fortuna abbiamo le lettere che tanti figli hanno conservato e che ci potranno descrivere le vite e i sacrifici di milioni di italiani all’estero. 
In ogni caso, per quanto siano importanti, dobbiamo riconoscere che le lettere raccontano soltanto una parte delle loro storie perché non tutti scrivevano e coloro che mantenevano un rapporto epistolare con i genitori e i fratelli lontani sicuramente non hanno raccontato tutto, non solo per motivi di lunghezza e tempo, ma perché sicuramente non volevano raccontare le loro esperienze più umilianti, come i lavori più umili che hanno dovuto fare oppure i trattamenti duri spesso riservati agli emigrati, oppure scelte di vita di cui si vergognavano. Purtroppo, per i nostri connazionali all’estero, esistono pochi libri e per trovare queste storie dobbiamo affrontare gli stessi problemi affrontati da autori come Marino, Stella e Cazzullo: quelle generazioni sono quasi tutte sparite e sarà difficilissimo poter raccontare le loro storie ed esperienze personali.
 
 Ogni giorno perdiamo sempre di più gli emigrati partiti dopo la Seconda Guerra Mondiale e nel caso della Grande Guerra è già troppo tardi. 
 Perciò dobbiamo cercare di trovare la forza e i fondi per poter conservare il più possibile queste fonti di esperienze prima che siano definitivamente disperse. Per poter fare ciò, dovremmo collaborare con musei e università di tutto il mondo per incoraggiare i figli e i discendenti a donare le raccolte di lettere, cimeli e ricordi, o almeno copie di questi per poterli avere a disposizione dei futuri ricercatori.
 
Questi documenti saranno le prove non solo della vita quotidiana dei nostri connazionali, ma anche del loro linguaggio e delle loro tradizioni. 
Ove ci siano ancora membri della prima generazione immigrata, dovremmo incoraggiare i loro figli e nipoti a registrare le voci e le esperienze dei genitori e  nonni, a chiedere loro di raccontare i ricordi e di donare copie di queste registrazioni agli istituti competenti.
 Però, non dobbiamo scordare che queste esperienze valgono anche per i loro figli e dovremmo compiere gli stessi passi per far ricordare le vite di questi figli di due mondi che si riconoscono non in uno, ma in due Paesi.
Ogni voce salvata è un ricordo che potremo passare alle generazioni del futuro per spiegare  le loro stesse origini.  

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