La piazza di Mantova, perla del Rinascimento (ph alex1965 da Pixabay)
In volo fino a Milano e poi comodamente in auto per pochi chilometri, puntando verso sud e verso la pianura Padana. Ci vuole poco tempo per raggiungere Mantova e Sermoneta ma costerà fatica lasciare queste due città.
Sarà successo anche agli esperti dell’Unesco, chiamati a decidere sulle due realtà italiane, e sicuramente affascinati da un sito che esprime alla massima potenza possibile il gusto e la bellezza del Rinascimento italiano.
Siamo nella terra dei Gonzaga, una delle famiglie più celebri della storia “comunale” italiana, ma la prima tappa sarà rappresentata dal poeta romano Publio Virgilio Marone, autore dell’Eneide e nato nel 70 a.C.
Fondata dagli Etruschi nel VI secolo a.C. (alcuni studiosi derivano il suo nome dalla divinità infernale chiamata Mantus),  Mantova rimase sempre al margine della storia romana e durante la denominazione dei Canossa, subì una trasformazione idraulica da parte dell’architetto Alberto Pitentino (nel 1198) il quale modificò il percorso del Mincio permettendo nuovi insediamenti abitativi.
Nel 1328, con l’aiuto del Signore di Verona Cangrande della Scala, Luigi Gonzaga prese il potere, legando indissolubilmente il proprio destino a quello della città. Capitani del Popolo, poi Marchesi (1433) ed infine  Duchi nel 1530 (nominati dall’Imperatore Carlo V), per tre secoli i Gonzaga guidarono e trasformano Mantova e la vicina Sabbioneta nelle più belle realtà delle corti europee.
Pisanello, Mantegna, Perugino, Correggio, Leon Battista Alberti, Luca Fancelli, Giulio Romano, G.B.Bertani ed altri artisti dell’epoca lasciarono la loro impronta rinascimentale. Abbellita con nuove chiese (S.Andrea, San Sebastiano, Santa Barbara, Sant’Orsola, San Maurizio), palazzi (il Castello, la Domus Nova, la Torre dell’Orologio), la città si arricchì anche di dimore della famiglia Gonzaga (Palazzo Te, la Palazzina di Caccia, Villa della Favorita) e iniziò a espandere il suo influsso architettonico sui comuni vicini, trasformando l’intera area, prima di iniziare un lento declino culminato con il saccheggio da parte dei Lanzichenecchi nel 1630.
Un saccheggio che non risparmiò nulla alla furia dei mercenari contadini. Decimata nella popolazione e spoliata dei propri tesori, la città tentò di risorgere nel Settecento, ma solo quando finì nei domini degli Austriaci potè ritrovare un minimo di stabilità.
Sono questi gli anni in cui l’architetto Juvarra riprogettò l’attuale cupula di S.Andrea, anni in cui furono costruite l’attuale facciata del Duomo e in cui sorsero Palazzo Cavriani, Palazzo degli Studi, Palazzo Bianchi (oggi Palazzo Vescovile), il teatro Scientifico e palazzo dell’Accademia.
“Mantova e Sabbioneta offrono una testimonianza eccezionale di realizzazione urbana, architettonica e artistica del Rinascimento, collegate tra loro attraverso le idee e le ambizioni della famiglia regnante, i Gonzaga”.
Con questa dichiarazione l’Unesco inserì le città di Mantova e Sabbioneta nel patrimonio culturale universale. Sabbioneta fu fondata da Vespasiano Gonzaga Colonna tra il 1554 e il 1591, anno della sua morte, e munita di una formidabile cinta muraria. La cittadina divenne in poco tempo la capitale di un piccolo stato incastonato tra Ducato di Milano, Ducato di Mantova e Ducato di Parma e Piacenza e costituiva un crocevia obbligatorio per i traffici commerciali nel medio corso del Po.
Divenuta residenza del principino Vespasiano Gonzaga Colonna, la cittadina fu edificata secondo i dettami umanistici della città ideale e accolse entro i propri confini straordinari monumenti quali il Palazzo Ducale, il Teatro all’Antica, la Galleria degli Antichi, il Palazzo Giardino, le chiese dell’Assunta, Incoronata, del Carmine, la Sinagoga e lo storico quartiere ebraico, che accolse una comunità dedita alla stampa.
Scelta come set di pellicole ci-nematografiche (“Strategia del ragno” di Bernardo Bertolucci, “I Promessi Sposi” e “Marquise”) Sabbioneta si presenta oggi come uno degli scrigni più belli del tessuto urbanistico italiano e mondiale cui fanno da contraltare tre specchi d’acqua ricavati nell’ansa del fiume Mincio, capaci di dare all’area mantovana una connotazione “acquatica”.
Anche per questa sua particolarità geografica, la città virgiliana ha stretto un gemellaggio con Madison (Michigan). I laghi di Mantova rappresentano un’ulteriore attrattiva per chi decide di visitare lo splendido sito protetto dall’Unesco con crociere che permettono di vedere tutta la città dall’acqua: un’oasi naturale più unica che rara che si somma ai tesori artistici e urbanistici del sito patrimonio dell’umanità. E che conduce all’ultimo segmento di questo straordinario viaggio vissuto con i cinque sensi.
LA TERRA DELLE PERE – La cucina mantovana affonda le proprie radici in alcuni piatti risalenti ai tempi dei Gonzaga, apprezzati fin dal Cinquecento fuori dal territorio. Quella mantovana è una cucina vincolata alla terra dalle tradizioni contadine, con varianti locali di uno stesso piatto.
Salame mantovano, coppa, pancetta, gras pistà, chiscela, tirot trainano l’appetito verso un’altrettanta ampia scelta di minestre che sono le pietre miliari della cucina mantovana: agli agnolini, quadretti e maltagliati, pasta trita, panàda e bevr’in vin, fanno da contraltare i tortelli di zucca, tortelli amari tipici di Castel Goffredo, bigoli con sardelle, gnocchi di zucca, capunsei, risotto alla pilota, risotto con le rane, risotto con i saltaréi.
Stracotto o brasato, stracotto d’asino, bollito misto, cotechino e pisto, luccio in salsa, pesce gatto, faraona arrosto, e polenta rappresentano i secondi piatti caratteristici di Mantova e Sabbioneta, da accompagnare con i vini elogiati fin dall’epoca romana: “Garda”, “Garda Colli Morenici” e “Lambrusco Mantovano”, rappresentano i marchi Doc dell’offerta enologica locale e permettono di assaporare al meglio anche i dolci e la frutta caratteristici di questa terra: Sbrisolona, Elvezia, Bussolano, Anello di Monaco, chisol, zabaione e sugolo possono essere degustati con il nocino, mentre merita un’attenzione particolare la pera tipica mantovana Igp, già celebrata ai tempi dei Gonzaga.
IL BEVR’IN VIN
Secondo una tradizione dell’epoca dei Gonzaga, i pasti devono essere preceduti da una minestra che costuisce l’aperitivo e l’antipasto tipico della cucina locale. Il   bevr’in vin viene sempre servito in scodella preriscaldata, che viene preparato in tre differenti modi, in funzione del successivo primo piatto. Secondo la tradizione andava mangiato in piedi davanti al camino acceso, dandosi vicendevolmente le spalle, per evitare la vista agli altri commensali, ritenendosi poco piacevole il colore del brodo mescolato al vino rosso.
Se il primo piatto è costituito da agnoli o cappelletti, in brodo o asciutti, il bevr’in vin viene composto da un mestolo di brodo bollente, contenente alcuni agnoli o cappelletti. La temperatura verrà diminuita dal commensale aggiungendo a piacere vino rosso di forte corpo e preferibilmente frizzante, come il Lambrusco.
Se il primo piatto è costituito da tortelli di zucca, il bevr’in vin viene composto da cinque o sei tortelli appena cotti, con un goccio d’acqua di cottura, ai quali viene aggiunto mezzo bicchiere di vino. Questa versione è definita “turtei sguasarot”, ovvero “sguazzanti”, sottolineando la stranezza dei tortelli di zucca in minestra, differentemente sempre serviti asciutti. Per gli altri primi piatti, il bevr’in vin è semplicemente preparato con brodo di carne e mezzo bicchiere di vino.
Secondo la tradizione popolare  questo tipo di aperitivo-antipasto costituisce una sorta d’elisir di lunga vita. Un antichissimo proverbio mantovano, tuttora molto in uso, recita: “Al bervr’in vin l’è la salut ad l’omm”, ovvero, “il bere nel vino è la salute dell’uomo”.

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