Ti voglio bene (tee voh-llioh bai-nai) is the sweetest of Italian expressions. Unlike its more theatrical sister, ti amo, “ti voglio bene” tends to be more subtle but also more authentic. 

When you say “ ti voglio bene,” you’re usually honest  and really feel what you say, while  “ti amo”… well, we all know “ti  amo” can be misleading sometimes. 

The  thing is, “ti voglio bene” is a difficult concept to explain and, thus, to  translate in English. It’s commonly rendered with “I love  you,” which is also used to translate “ti amo,” but the two don’t mean  quite the  same in Italian. In fact, in languages like English, French, Spanish and Arabic, the expression “ti voglio bene” doesn’t really exist. 

So, let’s try to explain. 

In Italian, “ti amo” is  used  (or it traditionally was: more of it below) to express romantic love: you say “ti amo” to your lover,  to the person who gives you butterflies. “Ti voglio bene” refers to an equally deep feeling, but that doesn’t have a romantic connotation: think of your parents, your grandparents, your pets, your friends. Sometimes,  “ti voglio bene” is a first step towards “ti amo,” when you say it to someone you’ve been seeing: it shows you’re committed, but not to the level of declaring your love fully. 

A strange phenomenon has been happening, though: Italians — the younger generations especially — now use “ti amo” also when we would usually prefer “ti voglio bene,” in what is likely to be a loan translation of the  English  “I love you.” So, while a bunch of years ago you would have said  ti voglio bene, mamma,  today you can easily hear ti amo, mamma. Both of them translate with “I love you mom” in English, but to Italian ears — at least to slightly older ones! — the second sounds extremely awkward. 

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  • Sei la mia migliore amica, chiaro che ti voglio bene! 
  • You’re my best friend,  of course, I love you!
  • Voglio bene ai miei nonni come se fossero i miei genitori
  • I love my grandparents as if they were my parents
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  • Dico al mio gatto che gli voglio bene tutti i giorni!
  • I say “I love you” to my cat every day!

Re di internet, padroni delle nostre case, i gatti hanno un altro ruolo importante in Italia: sono gli imperatori della Città Eterna. Se avete visitato Roma, saprete che i felini sono venerati e rispettati tra le sue strade e che hanno una propensione a stabilirsi nei luoghi archeologici più iconici della città, tra cui i Fori Imperiali e il Colosseo.
Tuttavia, la più famosa di tutte le colonie feline romane è quella di Torre Argentina, dove i gatti di tutte le età, colori e temperamento vivono tranquillamente e felicemente tra le rovine di antichi templi e case romane. Onestamente: per un gatto c’è un luogo più adatto in cui vivere che non là dove, un tempo, erano soliti stare gli imperatori?
No, assolutamente no.
La colonia di Torre Argentina è famosa per la sua organizzazione e le sue dimensioni, tanto da diventare popolare anche tra i turisti, che spesso vengono visti ammirare le rovine dalla strada, desiderosi di vedere uno dei tanti gatti che vi abitano. E loro amano mostrarsi: eleganti, indolenti, sempre belli, sempre alteri.
A Torre Argentina, molte gattare romane si prendono cura di un santuario che ospita circa 250 gatti. Con amore, gentilezza e rispetto, si assicurano che i loro amici a quattro zampe stiano bene, al caldo, siano nutriti e privi di malattie, sostenute nel loro impegno da buoni veterinari e generosi donatori.
Ma come ha fatto Torre Argentina a diventare la casa della più famosa colonia di gatti d’Italia? Beh, perché ovviamente i gatti l’hanno scelta. Ma i gatti non scelgono mai un posto – o, se per questo, una persona- a caso. Proprio come i cimiteri (altro famigerato luogo adorato dai felini: avete mai sentito parlare della colonia del Cimitero di Montmartre a Parigi?), i siti archeologici sono amati dai gatti: sono silenziosi, spaziosi e offrono molti angoli dove trovare riparo e protezione. Ahimè, sono anche un luogo dove è facile abbandonare i gattini indesiderati ed è sicuramente così che la colonia di Torre Argentina è cresciuta inizialmente.
Ma in questo luogo c’è molto di più. C’è altro che ha portato i gatti lì.
Se vogliamo risalire alle origini della colonia, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo, fino al 1926, quando iniziò la riqualificazione urbana dell’area di via San Nicola de’ Cesarini, con l’obiettivo di migliorare la viabilità della città. I progetti di gentrificazione della zona e di adeguamento agli standard della capitale di un regno erano stati presentati quasi 20 anni prima, nel 1909, ma nessuno poteva immaginare che sotto la superficie si nascondesse un vero tesoro. Come accade ancora oggi a Roma, una sorpresa archeologica attendeva gli operai impegnati a scavare e a livellare: i templi. Sì, antichi templi romani del IV secolo a.C. – quattro di essi, una scoperta così importante che, dopo alcune diatribe tra le Belle Arti e la gente del posto, e successivi scavi, il 21 aprile 1929, nel 2682° anniversario della fondazione di Roma, fu inaugurato il Foro Argentina.
Il Foro di Torre Argentina era un luogo di culto, un luogo degli dei: non c’è da stupirsi che i gatti l’abbiano scelto per se stessi, no? Ma c’è di più. Ulteriori indagini archeologiche hanno dimostrato che parte dei resti situati sul lato occidentale del sito appartenevano alla Curia Pompeia, la Curia di Pompeo, il luogo dove fu ucciso Giulio Cesare.
E così, abbiamo scoperto che Torre Argentina non è solo un luogo dove si svolgeva il culto, ma anche un luogo dove si riunivano uomini di grande potere politico e di grande valore civico: quale luogo perfetto per i gatti, animali che nell’antichità erano venerati come divinità e che oggi ci comandano a bacchetta, da splendidi e intelligenti governanti.
Le gattare di Torre Argentina ci dicono che i loro gatti amano riposare tra le rovine dei quattro templi, come naturalmente ci si può aspettare. Ce n’è uno che amano in particolare, il tempio dedicato ad Aedes Fortunae Huiusce Diei, la dea della fortuna di tutti i giorni. Come dire: “Fate come noi, godetevi i piccoli tesori di tutti i giorni. Forse apprezzerete di più la vita”.
Se volete saperne di più sulla Colonia Felina di Torre Argentina, la sua storia, i suoi gatti e come adottarne uno (sì, fanno anche le adozioni a distanza!), visitate il loro sito web: https://www.gattidiroma.net/web/en/ o i loro canali social media, Gatti di Roma-Roman Cats su Facebook, Torre Argentina Cat Sanctuary su YouTube e Gatti di Roma su Instagram.
Espressione del giorno: ti voglio bene. Perché “ti voglio bene” non significa la stessa cosa in tutte le lingue

Ti voglio bene (tee voh-llioh bai-nai) è la più dolce delle espressioni italiane. A differenza della sua più teatrale sorella ti amo, “ti voglio bene” tende ad essere più sottile ma anche più autentico.
Quando si dice “ti voglio bene”, di solito si è onesti e si sente davvero quello che si dice, mentre “ti amo”… beh, sappiamo tutti che a volte “ti amo” può essere fuorviante.
Il fatto è che “ti voglio bene” è un concetto difficile da spiegare e, quindi, da tradurre in inglese. Viene comunemente reso con “I love you”, che si usa anche per tradurre “ti amo”, ma le due parole non hanno lo stesso significato in italiano. Infatti, in lingue come l’inglese, il francese, lo spagnolo e l’arabo, l’espressione “ti voglio bene” non esiste.
Quindi, proviamo a spiegare.
In italiano, “ti amo” è usato (o lo era tradizionalmente: si veda più sotto) per esprimere l’amore romantico: si dice “ti amo” al proprio amante, alla persona che ti fa sentire le farfalle. “Ti voglio bene” si riferisce a un sentimento altrettanto profondo, ma che non ha una connotazione romantica: pensate ai vostri genitori, ai vostri nonni, ai vostri animali domestici, ai vostri amici. A volte, “ti voglio bene” è un primo passo verso il “ti amo”, quando lo dici a qualcuno che hai frequentato: dimostra che sei impegnato, ma non al punto di dichiarare pienamente il tuo amore.
Sta però accadendo un fenomeno strano: gli italiani – soprattutto le giovani generazioni – ora usano “ti amo” anche quando di solito preferiremmo “ti voglio bene”, in quella che probabilmente è una traduzione in prestito dall’inglese “I love you”. Così, mentre un sacco di anni fa avresti detto ti voglio bene, mamma, oggi puoi facilmente sentire ti amo, mamma. Entrambi traducono l’inglese “I love you mom” ma alle orecchie di un italiano – almeno a quelle un po’ più adulte! – il secondo suona estremamente imbarazzante.

Sei il mio migliore amico, chiaro che ti voglio bene!
You’re my best friend, of course I love you!

Voglio bene ai miei nonni come se fossero i miei genitori
I love my grandparents as if they were my parents

Dico al mio gatto che gli voglio bene tutti i giorni!


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