(Ph Danelle Mccollum da Dreamstime.com)
In Italia, mangiare è uno stile di vita. Non esiste mai il solo mangiare, il solo nutrirsi, il solo alimentarsi. In Italia, non si mangia mai solo per mangiare. 
 
La parola stessa “mangiare” è un contenitore colmo di odori, sapori, spezie, gusti, ciascuno proveniente da un posto diverso, ciascuno orgoglio del suo paese, ciascuno sinonimo delle più svariate sfaccettature della colorita italianità. 
 
In ogni città esiste una specialità, un piatto unico, un’esperienza culinaria che quotidiamente apparecchia le tavole italiane. Mi vengono in mente la mostarda alla zucca a Ferrara, la ciambotta di Certaldo, la pastiera, la mozzarella, la pizza, il babà di Napoli, mi vengono in mente le orecchiette alle cime di rapa pugliesi, la piadina romagnola, il vino toscano, il pesto alla genovese, la cotoletta di Milano, la cassata siciliana, i formaggi del Trentino, la ‘nduja calabrese. 
 
Sedere alla tavola di un italiano è come risalire tutto lo Stivale, arrampirarsi lungo gli Appennini, assaggiando costa a costa il Bel Paese. 
 
Ogni pietanza racconta una storia che fa compagnia a tutti i momenti che compongono una vita. Domeniche in famiglia, cene a tarda notte con gli amici, pic nic al parco, pranzi sotto l’ombrellone, spuntini di mezzanotte, pause dopo giornate faticose, brindisi, occasioni speciali, partite di pallone, caffè in solitudine. In Italia il mangiare, il mangiare bene, il mangiare sano, è sempre una cosa seria, una rituale sacralità. 
 
E chi meglio dell’Italia poteva parlare di cibo? Chi meglio degli italiani poteva ospitare un tema simile, accoglierlo, omaggiarlo? Chi sarebbe stato più preparato, più esperto, più appassionato dell’Italia per discutere di come “Nutrire il pianeta, Energia per la vita” se non l’Expo 2015? 
La rappresentanza italiana all’Expo Milano 2015 si estende sulle sponde di un cardo, un solco che taglia per metà il lungo decumano su cui si erigono maestose le istallazioni degli altri Paesi, come a segnare una linea di demarcazione tra l’Italia e il resto del mondo. 
Piazza Italia è l’incontro tra le due navate, un incrocio che pare essere la bocca di una voragine il cui cammino termina nella suggestiva Lake Arena. Qui, dall’acqua sorge “L’Albero della Vita”, una monumentale scultura, una palafittica opera d’arte dove il legno si intreccia all’acciaio, le radici si diramano in uno specchio d’acqua mentre la chioma si arrampica verso il cielo. Il simbolo del Padiglione Italia è una poetica similitudine di vitalità e innovazione. 
 
L’istallazione trova ispirazione nel progetto di Michelangelo Buonarroti per il restauro di Piazza del Campidoglio a Roma intorno al 1530, creando un raffinato cameo, una degna citazione del fervore artistico del Rinascimento italiano all’interno di Expo Milano 2015. 
 
Di fronte alle fontane danzanti del Lake Arena si trova Padiglione Italia. L’unico edificio che non verrà dismesso al termine dell’evento, concepito, insieme a “L’Albero della Vita”, dall’estro del produttore e direttore artistico Marco Balich, già noto per aver firmato le Olimpiadi di Torino 2006. 
 
La struttura del salotto espositivo rappresenta una foresta urbana su cui si estende una pelle ramificata per simboleggiare la natura che si fonde con la tecnologia. Un progetto architettonico metafora di rinnovamento, come un vivaio che tende i suoi rami verso l’infinito poggiandosi su solide radici. Una fotografia realistica dell’ambiziosa aspirazione di coniugare armoniosamente sviluppo e ambiente. Per questo motivo lo scheletro dell’area è stato realizzato con l’uso di cemento biodinamico che ha l’ammirevole pregio di assorbire sostanze inquinanti come se avvenisse una moderna fotosintesi. 
 
Balich ha declinato il concept interno del padiglione in quattro livelli, ciascuno dei quali pare avere un carattere di autoreferenzialità dove la forma primeggia sul contenuto. 
 
“La potenza del sapere” è la prima delle quattro sezioni. Una stanza in cui sono poste l’una accanto all’altra, come tanti soldatini, statuette che raffigurano imprenditori, produttori locali, sindaci, cittadini, ciascuno simbolo della propria regione. Dall’altra parte della stanza, di fronte alla fanteria schierata, vi sono delle sculture su cui vengono proiettate le immagini di alcuni di quei personaggi, ciascuno con la propria storia da narrare. Un modo per mostrare e far conoscere l’Italia degli italiani.
 
Proseguendo per i lunghi corridoi vuoti e bianchi, si arriva a “La potenza della bellezza”, una sala degli specchi dove si susseguono immagini di scorci italiani, così vivide da ricordare i depliant esposti nelle agenzie di viaggi. Lì un artistico gioco di luce e riflessi regala la suggestione di essere parte di quelle fotografie da località turistica. 
Il terzo settore è “La potenza del limite”. Dovrebbe inquadrare le difficoltà da superare destinate a trasformarsi in una spinta creativa. Di fatto è una parete bianca, su cui sono posti schermi piatti in alta risoluzione, finestre che sfuggono all’attenzione del visitatore già alla ricerca dell’ultimo livello. 
 
“La potenza del futuro” è l’unico piano su cui c’è effettivamente un pezzettino di Italia, di quella bella, di quella verace. Un piccolo orto a forma di penisola italiana, di quelli dei nostri nonni, dove la vegetazione racconta il suo mutare da una regione all’altra, se ne riconoscono i colori, gli odori, le più apparentemente insignificanti sfumature. 
Prima di avviarsi all’uscita, è necessaria un’ultima sosta per firmare “La Carta di Milano”, l’eredità testamentaria di questo evento, una carta di responsabilità e impegni concreti sullo sviluppo sostenibile, il diritto al cibo, la sicurezza dei prodotti alimentari.

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