Dubino, comune lombardo di 3.159 abitanti della provincia di Sondrio. 

  La valle dove sorge Dubino

  La valle dove sorge Dubino

 
A confine tra Valtellina, Valchiavenna ed Alto Lario, tra le Alpi Retiche, è sulla sponda destra dell’Adda. Dübìn, in dialetto valtellinese, è formato da Nuova Olonio, abitato di fondazione recente che convive con la Riserva Naturalistica del Pian di Spagna, dall’antico abitato di Dubino e dalle frazioni di Careciasca, Monastero e Mezzomanico. 
 
La parte più vecchia del comune, dopo la scomparsa dell’Olonio romana e medioevale, importante pieve fino al 1456, è rappresentata dall’abitato di Dubino che si è caratterizzato per la sua attività agricola e l’allevamento bovino. Non sono rari i caseggiati che presentano le tipologie tipiche dell’insediamento rurale. Il solo passeggiare per le vie del paese dà l’idea di quanto questo centro agricolo dovesse essere attivo nel passato (e San Giuliano, Mortai, Spinida e il maglio idraulico a Cascina Ambrosini sono solo alcune delle principali testimonianze). Peraltro, la regolarità del fiume ha permesso la bonifica della “Vedescia”, oggi Nuova Olonio, per iniziativa del Beato Don Luigi Guanella.
 
La stessa storia dell’Adda, con le sue piene ricorrenti e le vie di transito, prima via acqua e poi via terra, hanno fatto di questo Comune un punto di passaggio obbligato. Spesso il transito però, era accompagnato dal passaggio di truppe, evento che induceva gli abitanti a spostarsi in località S. Giuliano, a 768 metri di quota. Il luogo è un balcone panoramico sul Pian di Spagna. Oggi questa località, che ormai da tempo è stata abbandonata, ha un tale panorama che giustifica la visita di chi lo ha scelto come meta di una passeggiata naturalistica. Una curiosità: la piccola stazione di Dubino (sulla linea Colico-Chiavenna) venne riprodotta in scala H0 dalla ditta ferromodellistica Rivarossi a partire dagli anni Sessanta come edificio per plastici ferroviari. Ciò diede a Dubino fra i ferromodellisti e gli appassionati di ferrovie una grande notorietà.
 
Esperia, comune laziale di 3.978 abitanti della provincia di Frosinone. 

  Panorama di Esperia

  Panorama di Esperia

 
“Piccolo Comune con pochissime migliaia di abitanti, occupato per la posizione strategicamente favorevole dall’esercito tedesco impegnato a difesa della linea ‘Gustav’, fu obiettivo di ripetuti e selvaggi bombardamenti che provocarono numerosissime vittime civili e la quasi totale distruzione dell’abitato. Con l’arrivo degli alleati il paese subì, poi, una serie impressionante di furti, omicidi e saccheggi e dovette registrare più di settecento atti di efferata violenza su donne, ragazze e bambini da parte delle truppe marocchine. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio e elette virtù civiche”.
 
È la motivazione che giustificò l’attribizione della Medaglia d’oro al Merito Civile, dopo la II Guerra Mondiale. Esperia è uno dei comuni più ampi della provincia di Frosinone ed il più esteso degli Aurunci, raggiungendo le vette montagnose alle spalle della cittadina costiera di Formia. Il suo territorio è montuoso e boscoso con un’ampia escursione di quota: dai 42 ai 1307 metri sul livello del mare. Il toponimo Esperia risale al 1867 quando le attuali frazioni si unirono in un’unica amministrazione e Roccaguglielma venne scelta come sede municipale. Il nome scelto per la nuova realtà amministrativa indica l’astro Espero ovvero il nome con cui gli antichi Greci indicavano la penisola italiana.
 
Alcuni studiosi fanno risalire i primi insediamenti come conseguenza della distruzione della colonia romana di Interamna Lirenas o all’epoca tardo-antica sul monte Cecubo; certa è invece la creazione di borghi voluta nel X secolo. Nel 2006 in località San Martino, sono invece state scoperte orme di dinosauro. I primi studi fanno risalire queste impronte presumibilmente a 250 milioni di anni fa. Esperia, inoltre, dà il nome ad una razza di pony, originaria dei Monti Aurunci ed Ausoni, che è una delle quindici razze a diffusione limitata riconosciute dall’Associazione Italiana Allevatori ed è l’unica razza italiana denominata “pony”.
 
Favara è un comune siciliano di 33.831 abitanti della provincia di Agrigento. 

  Il grosso centro abitato di Favara

  Il grosso centro abitato di Favara

 
Anticamente conosciuta col nome di Fabaria e oggi nota come la “Città dell’Agnello Pasquale”, dolce tipico a base di mandorle e pistacchi, è posta su un declivio ai piedi di una collina di 533 metri d’altezza (Monte Caltafaraci, detto Muntagnedda) che domina l’abitato. Si trova a soli 7 Km dalla Valle dei Templi di Agrigento. Le più antiche testimonianze umane nel territorio risalgono alla tarda età del rame (2400-1990 a.C. circa). 
 
In epoca storica il territorio fu interessato prima dalla dominazione greca, poi da quella musulmana al punto che Favara deriva da fawwāra, che in arabo significa “Polla d’acqua che sgorga, gorgogliando, con impeto”. Nel periodo normanno furono costruiti casali e castelli. L’attuale simbolo del Comune di Favara (castello moresco sopra uno sperone roccioso, con sottostante sorgente d’acqua) è stato coniato nel 1883. Da non perdere, soprattutto per i golosi, la sagra del dolce tipico di Favara con un ripieno di pistacchio tritato che rende unico nel suo genere il dolce composto da mandorla tritata e zucchero. La ricetta classica, preparata in prossimità della Pasqua, è d’inizio ‘900 e delle suore del Collegio di Maria che si passavano ingredienti e modalità di preparazione oralmente. Di certo si sa che le origini si perdono nella storia e che tale uso è arrivato sino a noi, di generazione in generazione, attraverso la cultura orale.
 
Una delle prime ricette dell’Agnello Pasquale porta la data del 1898 ed è appartenuta ad una ricca famiglia della borghesia agraria e solfifera dell’Ottocento favarese. Si tratta di documenti eccezionali in cui si parla di pasta reale, impasto di farina di mandorle cotte e macinate in maniera finissima reso semisolido da zucchero sciolto in acqua calda e lavorato a mano. Tra le curiosità, da ricordare l’eccezionale preparazione di un Agnello Pasquale nell’edizione della sagra del 2003 dal peso di 202 chilogrammi, lungo cm 160 e alto cm 90, ed iscritto nel Guinness dei primati. 

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