Columbus as seen on old 5000 lire notes. Photo: Janusz Pienkowski/Dreamstime

It is true, “Mothers know best.”

Christopher was born 1451 and his mother, Susanna, named him Christopher, meaning Christ -Bearer, Dove. Christopher was raised as a committed Catholic, observing fasts, confessions and communions. He learned his native tongue, Genoese, as well as Latin, Castilian and Portuguese. He mastered geometry, astronomy, cosmography and, of course, navigation. And he was familiar with Marco Polo, Aristotle, Toccatella and Ptolemy.

Christopher, as other informed people, knew the Earth  was  round  as  well  its  approximate circumference. He knew currents, winds, navigation from the stars and all you had to do  to find the Indies safely was to sail west so as not to be blocked by the Ottoman Empire. To accomplish his goal he needed ships, sailors, funds and sponsorship. He went to the court of Portugal and was turned down, his brother went to the court of England and was turned down. Finally, Christopher went to the Court of Spain to see Queen Isabella and King Ferdinand. After several rejections from Isabella’s advisors, she decided to provide Columbus’s adventure more for the purpose of bringing Christianity to new areas, than any expectation of riches. 

During his treacherous ocean voyage, he encountered possible mutiny, possible fears of sea monsters and possible falling off of Earth. He kept his log in a way to please the crew, so they would think they weren’t too far from the coast. He gave sailors pep talks and social activities to allay their fears.

The land fall was met with a new set of circumstances from the indigenous people — some were

friendly, and some were hostile. The tribes were often hostile to one another and some were decimated by their own diseases, wars and starvation.

Faults abound as to Columbus’s character and governance. Columbus said of himself: “I have now reached that point, that there is no man, so vile but thinks it his right to insult me. The day will come when the world will reckon it as a virtue to him who has not given his consent to them abuses.”

That day has not come. 

Surely, it seemed so in 1882, when Frances Bellamy  wrote  the “Pledge of  Allegiance“ in honor of the 400th anniversary of Columbus’s landing; we approached such a time, in 1934 when Columbus Day was declared a federal holiday. The Columbus holiday was designed to unify us as a nation under God and the freedoms covered in the Constitution and Bill of Rights.

After reaching the 500th anniversary, a fringe of our society wants to deny Columbus his relevance in our history.  Are they anti Columbus because of racism, slavery, genocide, Judeo-Christian faith? The legitimate approach for these questions should come from Columbus’s logs, documents, his son’s diaries and writing from people of the time. Rewriting history to obtain a personal desire should be challenged.

The indigenous people are the same race as Columbus. He believed indigenous people, even in their differences from the culture and customs he knew and was acquainted with,  were like any culture or race.  He found them shy, intelligent, family oriented and affectionate, generous, cooperative and, relevant to him as a man of the 15th century,  amenable to practice Christianity. 

A statue of Christopher Columbus. Photo: Amanda Melones/Dreamstime

It has become fashionable to decimate Christopher Columbus’ character because he allowed slavery, which he did. But when discussing this, we should not lose sight of Columbus’ historical context and coeval customs. As —rightly — reproachable and unacceptable as it may be today, we sadly know that for thousands of years slavery was an “acceptable” practice among the nations around the world. Columbus was sanctioned by Queen Isabella to enslave enemies following victorious combat. Saying this is not a justification of slavery, but  rather an attempt at contextualizing actions led by a different moral and ethical compass from the one we apply today.  When it comes to history, objectivity is key, and acknowledging these differences is paramount for a full understanding of our past. 

We can’t wipe out and don’t appreciate what it took to make our country prosper, and this  is why, I believe, it wouldn’t be right to  replace or cancel Columbus Day. 

To eradicate history by revisionist prejudices with “identity politics,” by failing to understand the historical context in which those events took place, needs to be challenged in name of History, of its importance, of its complexity, but also to show appreciation for our Forefathers. To deny  Columbus courage and navigation skills shows lack of understanding of the very meaning of courage. To tear down our leaders, from George Washington to Jefferson and others, by applying to their actions contemporary values and failing to understand the historical and cultural context in which they operated means to ignore and forget their greatness and all they sacrificed to become the very pillars we stand on.

È vero, “Le madri sanno tutto”.
Cristoforo nacque nel 1451 e sua madre, Susanna, lo chiamò Cristoforo, che significa Cristo, Portatore, Colomba. Cristoforo venne cresciuto come un cattolico devoto, osservando digiuni, confessioni e comunioni. Imparò la lingua madre, il genovese, ma anche il latino, il castigliano e il portoghese. Studiò la geometria, l’astronomia, la cosmografia e, naturalmente, la navigazione. E conosceva Marco Polo, Aristotele, Toccatella e Tolomeo.
Cristoforo, come altre persone istruite, sapeva che la Terra era rotonda e la sua circonferenza approssimativa. Conosceva le correnti, i venti, sapeva navigare con le stelle e che tutto quello che bisognava fare per trovare le Indie in sicurezza era navigare verso ovest per non essere bloccati dall’Impero Ottomano. Per raggiungere il suo obiettivo aveva bisogno di navi, marinai, fondi e sponsor. Andò alla corte del Portogallo e fu respinto, suo fratello andò alla corte d’Inghilterra e fu respinto. Infine, Cristoforo si recò alla corte di Spagna per vedere la regina Isabella e il re Ferdinando. Dopo diversi rifiuti da parte dei consiglieri di Isabella, lei decise di sostenere l’avventura di Colombo più per portare il Cristianesimo in nuove aree, che per qualsiasi aspettativa di ricchezza.
Durante il suo insidioso viaggio nell’oceano, affrontò tentativi di ammutinamento, paure di possibili mostri marini e persino di cadere dalla Terra. Tenne il diario di bordo per compiacere l’equipaggio, in modo che pensassero di non essere troppo lontani dalla costa. Fece ai marinai dei discorsi di incoraggiamento e organizzò attività sociali per placare le loro paure.
L’approdo fu seguito da una nuova serie di circostanze per via degli indigeni – alcuni erano amichevoli e alcuni ostili. Le tribù erano spesso in lotta tra loro e alcune erano decimate dalle loro malattie, dalle guerre e dalla fame. I problemi abbondavano sia per il carattere che per il comando di Colombo. Colombo ha detto di se stesso: “Sono arrivato a questo punto, che non ci sia uomo, così vile, che non pensi che sia un suo diritto insultarmi. Verrà il giorno in cui il mondo riconoscerà una virtù a colui che non ha dato il suo consenso agli abusi”.
Quel giorno non è arrivato.
Sicuramente sembrava arrivato nel 1882, quando Frances Bellamy scrisse il “Giuramento di fedeltà” in onore del 400° anniversario dello sbarco di Colombo; ci siamo avvicinati a quel momento, nel 1934, quando il Columbus Day fu dichiarato festa federale. La festa di Colombo era stata concepita per unificare la nostra nazione sotto Dio e le libertà previste dalla Costituzione e dalla Carta dei Diritti.
Dopo aver raggiunto il 500° anniversario, una frangia della nostra società ha deciso di negare a Colombo la sua importanza nella nostra storia. Sono contro Colombo a causa del razzismo, della schiavitù, del genocidio, della fede giudaico-cristiana? L’approccio legittimo a queste domande dovrebbe provenire dai diari di Colombo, dai documenti, dai diari del figlio e dagli scritti delle persone dell’epoca. Riscrivere la storia per soddisfare un desiderio personale è ciò che dovrebbe essere messo in discussione.

Gli indigeni sono della stessa razza di Colombo. Egli credeva che gli indigeni, anche nelle loro differenze rispetto alla cultura e ai costumi che conosceva e a cui era abituato, fossero come qualsiasi altra cultura o razza. Li trovò timidi, intelligenti, orientati alla famiglia e affettuosi, generosi, cooperativi e, per lui uomo del XV secolo, inclini a praticare il Cristianesimo.
È diventato di moda sminuire il carattere di Cristoforo Colombo perché ha permesso la schiavitù, cosa che ha fatto. Ma quando si discute di questo, non si deve perdere di vista il contesto storico e i costumi ai tempi di Colombo. Per quanto – giustamente – riprovevole e inaccettabile possa essere oggi, sappiamo tristemente che per migliaia di anni la schiavitù è stata una pratica “accettabile” tra le nazioni di tutto il mondo. Colombo fu sanzionato dalla regina Isabella per aver ridotto in schiavitù i nemici in seguito a combattimenti vittoriosi. Dire questo non è una giustificazione della schiavitù, ma piuttosto un tentativo di contestualizzare azioni guidate da una bussola morale ed etica diversa da quella che applichiamo oggi. Quando si tratta di storia, l’obiettività è la chiave, e il riconoscimento di queste differenze è fondamentale per una piena comprensione del nostro passato.

Non possiamo cancellare e non apprezzare ciò che è stato necessario per far prosperare il nostro Paese, ed è per questo, credo, che non sarebbe giusto sostituire o cancellare il Columbus Day.

Sradicare la storia attraverso pregiudizi revisionisti con “politiche identitarie”, non comprendendo il contesto storico in cui quegli eventi si sono svolti, deve essere messo in discussione in nome della Storia, della sua importanza, della sua complessità, ma anche per mostrare apprezzamento verso i nostri Antenati. Negare il coraggio e la capacità di navigazione di Colombo dimostra mancanza di comprensione del significato stesso del coraggio. Abbattere i nostri leader, da George Washington a Jefferson e altri, applicando alle loro azioni valori contemporanei e non comprendendo il contesto storico e culturale in cui hanno operato, significa ignorare e dimenticare la loro grandezza e tutto ciò che hanno sacrificato per diventare i pilastri su cui ci poniamo.


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