Durante la seconda decade del 1900, l’Italia fu coinvolta nella Prima Guerra Mondiale quando l’Austria, che aveva impellente necessità d’uno sfocio sull’Adriatico, continuava ad esercitare con violenza la sua oppressione sulla italianissima città di Trieste.
 
Per cinque secoli Trieste era stata il porto commerciale più importante dell’Impero Austro-Ungarico, molto conveniente per l’Austria per i suoi rapporti marittimi con l’Estremo Oriente, l’Africa ed il Levante. 
 
Ispirati dall’“Irredentismo”, moltissimi Italiani residenti a Trieste, ed in altri territori occupati dall’Austria, organizzavano frequentemente dimostrazioni motivate dall’ideale di riunirsi alla madre patria. Tali dimostrazioni erano spesso represse brutalmente dalla polizia austriaca che non esitava a fucilare o a impiccare i più ardenti propugnatori dell’Italianità quali Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti e tanti altri.
  Oberdan e Battisti, strenui difensori dei valori patriottici

  Oberdan e Battisti, strenui difensori dei valori patriottici

 
Oberdan, famoso giovane patriotta nato a Trieste, fu arrestato e trovato in possesso di 2 bombe che la polizia austriaca suppose sarebbero servite per assassinare l’Imperatore Francesco Giuseppe. Un paio di giorni dopo il suo arresto, Oberdan fu impiccato: aveva 24 anni ed è ricordato nei libri di storia come il “Martire di Trieste”. 
 
Battisti, martire-patriotta, nato a Trento, era uno studioso molto conosciuto per la sua devozione all’Italia e per il suo intenso risentimento contro l’Austria. A 58 anni si arruolò negli “Alpini”, un corpo speciale addestrato per la guerra sulle montagne. Sempre convinto dell’importanza assoluta di distruggere l’Impero Austro-Ungarico, combattè con eroismo sul fronte occidentale, fu ferito e decorato con due medaglie d’argento al valor militare. Arrestato dagli Austriaci, fu impiccato il 12 luglio 1916 nel Castello del Buon Consiglio a Trento, a brevissima distanza da casa sua.
 
Per quanto l’Austria si prodigasse a cancellare nelle città soppresse il loro indistruttibile carattere d’italianità, Trento e Trieste rimasero di sentimenti italiani con gran tenacia fino all’ultimo. Per questo motivo il governo italiano sentì il dovere di rivendicare queste nobili città, affinchè i loro cittadini non fossero più sottomessi al giogo austriaco e potessero esibire la loro Italianità senza rischiare la vita.
 
 Nel maggio 1915, in Italia, 2 milioni di soldati furono mobilitati per essere inviati al fronte. 
Il Generale Luigi Cadorna assunse il comando supremo delle forze italiane. Cadorna, nato a Pallanza sul Lago Maggiore, aveva la reputazione d’esser un generale inflessibile, ossessionato da una disciplina assoluta.
 
Il fronte si estendeva per oltre 400 miglia dall’Adriatico al confine Svizzero, in gran parte su territorio Alpino, dall’Isonzo a Gorizia fino a Udine e Tolmezzo, nel Veneto e nel Friuli, sui Monti Carso e Grappa e sulle valli dei fiumi Piave, Adige e Tagliamento.
 
Durante i primi due mesi di guerra, l’Italia perse 15.000 uomini mentre l’Austria solo 5.000. Come mai tale differenza? Sembra che Cadorna non riuscisse ad ottenere nè una cooperazione completa nè uno spirito combattivo dai suoi ufficiali che a loro volta non sapevano motivare i soldati. Le azioni al fronte risultavano in attacchi indolenti e sconclusionati. 
  Nel 1917 la Brigata Ravenna subì le ‘decimazioni” decise da Cadorna

  Nel 1917 la Brigata Ravenna subì le ‘decimazioni” decise da Cadorna

 
Cercando di diminuire le perdite, Cadorna, che ovviamente non controllava la situazione, durante i primi due anni di guerra degradò 217 generali, 255 colonnelli e 355 comandanti di battaglione. Nella parte opposta, il comandante supremo delle forze austriache, Generale Franz Conrad, godeva invece il rispetto e la cooperazione di tutti i suoi ufficiali e della truppa. Conrad era un uomo semplice e sincero, amava l’Italia che aveva personalmente visitato in molte occasioni prima della guerra; era un poliglotta e parlava fluentemente una dozzina di lingue; era sposato ad una bella donna italiana, che era la vedova di un industriale austriaco perito durante la guerra. Conrad era rimasto vedovo ma dalla seconda moglie, Virginia, aveva avuto sei figli.
 
Al comando della Terza Armata v’era il Duca d’Aosta sotto la direzione di Cadorna, quando gli austriaci bombardarono Monfalcone e Monte San Michele. La zona tra queste due località è il Carso, un altopiano selvaggio di pietra calcarea chiamato “Monte Sei Busi”. Questa zona vide sanguinosi combattimenti tra italiani e austriaci.
 
IL FRONTE. La linea di combattimento era caratterizzata in tutta la sua lunghezza da burroni, rocce, caverne, grotte, gallerie e trincee. I fianchi della montagna erano interamente coperti da filo spinato, che era micidiale perchè percorso da corrente elettrica ad alta tensione. Era difficile e molto pericoloso aprire una breccia nel filo spinato perchè era quasi sempre nascosto dalla neve e dal ghiaccio. 
 
L’operazione di tagliare il filo spinato veniva eseguita di notte, perchè di giorno, i franco-tiratori dalla mira molto precisa, facevano fuori immediatamente chiunque si azzardasse ad esporsi dalla trincea anche per pochi secondi. 
 
La vita in trincea era causa di una sofferenza continua perchè i soldati erano costretti a rimanere fermi sulla neve giorno e notte per cui i piedi si congelavano e spesso dovevano essere amputati. Durante l’inverno e l’autunno, piogge torrenziali causavano temperature sotto-zero. L’artiglieria austriaca spesso martellava le posizioni italiane per ore e a volte senza interruzione durante tutta la notte. Il martellamento continuo per notti consecutive aveva un effetto deleterio sul morale dei soldati, già sfiniti e depressi, che erano spesso tentati di considerare la diserzione quale unica via di scampo. 
 
Il 13 dicembre 1916 fu soprannominato “Venerdì Bianco”: oltre 10 mila soldati furono sepolti da enormi valanghe e non si seppe più nulla di loro.
Nonostante il numero altissimo delle perdite, ogni giorno ricominciava l’attacco su ogni fianco della montagna. Quasi sempre, gli austriaci protetti dalla loro micidiale artiglieria, riconquistavano le vette durante la notte, ma il giorno dopo, invariabilmente, erano gl’italiani a riconquistarle con sacrifici enormi tra morti e feriti. Sanguinosi combattimenti continuavano su tutti i fronti. Le perdite tra i soldati erano strabilianti. 
 
Cadorna dava la colpa alla fanteria e nel tentativo di correggere la situazione, come al solito suggerì rimedi estremi: ordinò che 28 disertori fossero immediatamente fucilati. Cadorna insistette che la regola della fucilazione immediata doveva comprendere anche i soldati che tornavano dalla licenza con un giorno di ritardo, anche se giustificato. Altri 123 soldati furono condannati alla corte marziale per reati vari. 
 
Il risentimento degli ufficiali contro Cadorna aumentò drasticamente quando egli rimise in vigore la regola della “decimazione” che imponeva agli ufficiali l’obbligo di uccidere indiscriminatamente un fante ogni dieci nei reggimenti colpevoli di ammutinamento. 
 
Nel marzo 1917, nove soldati della Brigata Ravenna furono giustiziati quando il reggimento protestò perchè tutti i permessi erano stati cancellati. Due mesi dopo, 54 uomini furono fucilati per infrazioni minori. Cadorna continuò a raccomandare agli ufficiali di essere spietati con i soldati e di non esitare a ucciderli quando non eseguivano gli ordini. Fortunatamente il Parlamento ordinò a Cadorna di cessare le esecuzioni perchè troppi innocenti venivano eliminati senza una vera ragione. Durante i mesi di ottobre e novembre ci furono 140 esecuzioni sommarie. 
 
Dopo la guerra, il Giudice Capo dell’Esercito Italiano appurò che la maggioranza degli ordini emanati da Cadorna nel campo della giustizia militare, erano illegali.
La situazione al fronte nell’agosto 1917 era la presente: Cadorna disponeva di oltre mezzo milione di soldati, 3,750 cannoni pesanti, 1,900 mortai. Alle 2 a.m. del 23 ottobre, le batterie austriache coadiuvate da 7 divisioni tedesche, aprirono il fuoco lungo un fronte di 20 miglia causando un vero e proprio massacro nel settore italiano. La valle dell’Isonzo era sotto un continuo martellamento da parte dell’artigliera nemica. 
 La Disfatta di Caporetto sotto il comando di Cadorna: sconfitta chiave della guerra italiana contro l’esercito austro-ungarico

 La Disfatta di Caporetto sotto il comando di Cadorna: sconfitta chiave della guerra italiana contro l’esercito austro-ungarico

 
A Caporetto gli italiani, dopo aver fatto saltare il deposito munizioni ed il ponte sull’Isonzo, abbandonarono la zona in gran fretta ed in piena ritirata. Poche ore dopo Caporetto veniva occupata da truppe tedesche.
Finalmente l’8 novembre 1917, il Governo Italiano decise che l’Italia, durante gli ultimi due anni, aveva subito innumerevoli umiliazioni e la perdita di parecchie centinaia di migliaia di soldati a causa dell’inettitudine di Cadorna e delle sue stravaganti decisioni. Pertanto lo ritirava dal fronte e lo sostituiva con il Generale Armando Diaz, un esperto ufficiale superiore che godeva una reputazione straordinaria. Installatosi al comando, Diaz immediatamente decentralizzò l’autorità che Cadorna aveva racchiuso nel suo pugno, eliminando pertanto ogni causa di discontento. 
 
Allo stesso tempo ottenne la precedenza della produzione mi-litare nelle fabbriche di armi, di veicoli e di ogni tipo di approvvigionamento per rifornire le forze armate di quanto avevano perduto durante la ritirata di Ca-poretto ed in preparazione per l’attacco finale.
In breve tempo, Diaz reintrodusse la disciplina delle truppe al fronte, rinforzò le linee decimate ed esaurite, e soprattutto risollevò il morale dei soldati. 
 
Dopo il danno enorme causato da Cadorna, Diaz dimostrò di essere il “toccasana”, la cura miracolosa, di cui il Paese e l’esercito avevano estremamente bisogno dopo quanto era stato mandato in rovina da Cadorna.
Il 19 giugno 1918, giunti i rinforzi, gli Italiani contrattaccarono con grande impeto ed entusiasmo su tutta la Valle del Piave. Qualche giorno dopo, alla fine della “Battaglia del Solstizio”, il totale delle perdite nel settore Italiano ammontò a circa 10.000 uomini, mentre gli Austro-Ungheresi accusarono 118.000 casi tra morti, feriti e prigionieri.
 
La Battaglia del Solstizio cancellò in modo definitivo la macchia della ritirata di Caporetto. 
Sfortunatamente la guerra nella valle del Piave mise in grave difficoltà la popolazione civile: oltre 400,000 persone furono costrette ad evacuare la zona e a lasciare le loro case, che senza eccezione venivano saccheggiate e depredate dai soldati nemici in ritirata. 
 
Gli austriaci, avendo compreso d’aver perduto la guerra, si arrendevano in massa ma gli italiani ebbero difficoltà a sfamarli, a contenere senza preavviso tante migliaia di prigionieri, a trovare alloggio per tutti nelle scuole, nelle caserme e nei casamenti abbandonati.
Finalmente alle p.m. del 4 novembre 1918 le ostilità furono sospese e nello stesso giorno il Generale Armando Diaz annunciò il famoso Bollettino della Vittoria:
 “La guerra è finita. L’esercito austro-ungarico è annientato. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa fierezza”.
 
Per l’Italia il numero dei morti in guerra ascese a 690.000 oltre a 330.000 civili quasi tutti nella zona del Veneto. Il più caratteristico cimitero della Prima Guerra Mondiale è quello di Redipuglia, nei pressi di Trieste, che  è anche uno spettacolare Sacrario alla memoria dell’invincibile Terza Armata ed al suo valoroso Duca d’Aosta. Oltre 100.000 soldati riposano in questo bellissimo cimitero. Gi italiani sono estremamente orgogliosi dei caduti e dei soldati che combatterono in questa guerra affinchè Trento e Trieste tornassero ad essere italiane.

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