Mostra Teatri di guerra. Fotografie di Luca Campigotto (Ph. L.Ferrari)

Feritoie. Resti di postazioni e trinceramenti. Ricoveri. Posti di vedetta. Sentieri. Ingressi di gallerie. Tracce di guerra appollaiate sulla cruda maestosità delle montagne del nord-est tra Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Tutte ancora lì, a raccontarci la Storia. Lassù, in condizioni impervie si combatté senza sosta. Lassù fu scritta una delle pagine più dolorosamente celebri della I Guerra Mondiale.   

Tra le iniziative della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le commemorazioni del Centenario della Prima Guerra mondiale, previste tra il 2014 e il 2018 e iniziate in concomitanza con il semestre italiano di Presidenza europea, si è svolta a Venezia nella sontuosa cornice di Palazzo Ducale in Loggia Foscara, la mostra “Teatri di guerra. Fotografie di Luca Campigotto”.     

Un primo giro veloce senza nemmeno “badare” alle didascalie. Cerco il mio ingresso personale nel percorso espositivo.    Parto dalle Tre Cime di Lavaredo che conosco assai bene. Ci sono passato sotto varie volte. Vi è più di uno scatto sulle celebri vette. Fa uno strano effetto non vederle con il cielo azzurro e il sole splendente, ma tinte di nuvole e un’atmosfera lontana anni luce dalla gioia dei gitanti che si fanno sempre immortalare.   C’è ovviamente lui, il protagonista indiscusso del primo conflitto mondiale. Il filo spinato. Abbandonato tra paletti di legno e roccia. Statico e ferreo spettro dominante il panorama tra neve e vegetazione lontana. Non sembrano esserci scorciatoie per fuggire la sofferenza del groviglio di morte. Arrugginito ed essenziale.    

Inesorabile e invincibile. Metafora del mondo che stavano vivendo, le gallerie nella roccia paiono condurre all’inferno della guerra. Come architetti della difesa, gli uomini scavarono la montagna. Lì premettero grilletti e scrissero le ultime lettere ai propri cari. Le loro lacrime sono andate perdute con l’acqua dei nevai. Si sono mimetizzate nell’altitudine di una via senza ritorno.   

L’obiettivo plana sulle 5 Torri e sul monte Lagazuoi. Dal Monte Cristallo a Cima Bocche, Col dei Bos fino a raggiungere la regina delle Dolomiti, la Marmolada. Dal rilievo carsico del Monte San Michele e le alture di Monfalcone, alla Croda Rossa di Sesto (Bolzano). Nei suoi ampi scatti Luca Campigotto ci fa sentire attonite formiche. Nel vedere i sentieri esposti che attraversano le rocce irrompono vertigini. E mi devo sedere.    Rivolgere a Venezia il mio battito per non sentirmi sopraffatto da quel sonoro di spari ormai materializzatisi nella mente. Rientro nelle immagini. Vicino a un’insenatura c’è una scaletta di legno. Poco dopo della legna ammassata accanto a una trincea in pietra. Il mondo è grigio. Cinereo come il fumo dei cannoni. Plumbeo come il destino di quei troppi milioni di esseri umani che persero la vita. Il sentiero sale, come se fosse alla disperata ricerca di una postazione diversa.   

Sono ancora lì. A sgattaiolare tra crepacci, crode e nuvole irraggiungibili, quand’ecco entrare nella galleria del mio udito un parlato tedesco. Padre e figlia. Li sento citare i nomi italiani delle montagne. Lo sento spiegare qualcosa alla piccola. Ignoro il significato ma non ha importanza. Li fisso per qualche secondo fino a incrociare i loro sguardi. Un secolo fa i nostri connazionali si stavano sparando l’un l’altro senza pietà. Oggi siamo amici. Alleati continentali. Oggi non ci sono guerre in Europa. Altrove però si, e le nuove storie di fratellanza sono ancora lontane dall’essere narrate. 


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