Quella di Attilio Pavesi è una vita che merita di essere raccontata e che fa parte del grande libro dell’orgoglio italiano nel mondo. Una lunga vita trascorsa nell’amore per la bicicletta e vissuta da campione e da appassionato e arrivata, pedalata dopo pedalata, a 101 anni.
 
Attilio Pavesi era nato a Caorso (Piacenza) il 1 ottobre del 1910, undicesimo figlio di Angelo e Maria. Battezzato Attilio Adolfo, bambino visse i primi anni della sua vita in una famiglia votata al lavoro. Papà Angelo era un pollivendolo e mamma Maria, tra un parto e l’altro, fabbricava stoffe, lavorava nei campi come mondina e faceva la balia. Il piccolo crebbe a pane e acqua, ma il pane era rigorosamente fatto in casa e forse anche questo particolare ha inciso nella sua longevità.
 
Attilio, prima in casa e poi per gli amici divenne “Tic” e fin da piccolo si fece notare per le sue straordinarie doti sportive. Bravo nella corsa, nel salto in lungo, nel nuoto, nei tuffi, nella ginnastica e nel calcio, il giovane piacentino divenne anche amico di famiglia di Enrico Fermi, per la quale faceva la spesa ma non riuscì a terminare la scuola elementare (la licenza gli venne comunque data) e a 10 anni era già impegnato in un’officina di riparazione delle bici e dei trattori. 
 Si è spento a 101 anni in agosto

 Si è spento a 101 anni in agosto

 
Ragazzo dal cuore d’oro Pavesi salvò anche un ragazzino che stava annegando trascinandolo a riva per i capelli e s’iscrisse alla prima corsa con una bici da viaggio mettendosi subito in luce. Come cadetto conquistò diverse vittorie che gli valsero l’ingaggio nella squadra Cesare Battisti di Milano, una delle maggiori formazioni dilettantistiche del periodo. Il giovane ciclista non deluse le aspettative. Vinse la Coppa Caldirola, il Gran Premio Aquilano e la Coppa Bendoni, ma negli anni Trenta non vi erano esenzioni militari per meriti sportivi e il piacentino smise la maglia per indossare la divisa grigioverde. 
 
Dopo le prime settimane di adestramento, il ciclista ottenne il trasferimento al Centro militare di educazione fisica della Farnesina e poté riprendere la carriera agonistica. Nel 1932 partecipò alla gara preolimpica di San Vito al Tagliamento e nonostante il piazzamento al quinto posto fu convocato per i Giochi dell’Olimpiade di Los Angeles come riserva. 
 
Durante la traversata oceanica sul transatlantico Conte Biancamano, Attilio Pavesi dimostrò più di altri la capacità di reggere il mare e sfruttò tale periodo per prepararsi bene all’eventuale appuntamento agonistico. “Mi alzavo per primo – raccontava ai cronisti anni dopo -, facevo una gran colazione, poi mi dedicavo prima alla ginnastica e poi alla bici. Pedalavo sui rulli, sul ponte della nave. E non soffrivo il mal di mare”.
 
Dopo essere sbarcati nel porto di New York, gli atleti della nazionale ciclistica italiana attraversarono gli Stati Uniti in cinque giorni e quattro notti, la-sciandosi dietro canyon e montagne rocciose. E nel giorno della prova su strada, il selezionatore scelse infine Pavesi in sostituzione di Zaramella. 
Promosso titolare, Pavesi non deluse la Nazionale. “Era una crono. Individuale e anche a squadre, perché con la somma dei tre migliori di ogni nazione si stilava un’altra classifica. Noi avevamo Olmo e Cazzulani, fortissimi, poi Segato e io”.
 
  Cento chilometri in 2 ore, 28’ e 5”: oro che gli regalò la fama e il titolo della Gazzetta dello Sport del 1932 

  Cento chilometri in 2 ore, 28’ e 5”: oro che gli regalò la fama e il titolo della Gazzetta dello Sport del 1932 

La partenza fu fissata a Moorpark con i primi 20 chilometri in discesa, un lungo tratto lungo la costa dell’Oceano, intervallato da un faticoso strappo in salita, e infine l’arrivo sulla spiaggia di Santa Monica. 
“Maglia azzurra con scudo sabaudo – ricordava ancora Pavesi -, numero 33, bicicletta con telaio di 8 chili, ruote in legno, gomme Clement di 190 grammi, pedivelle di 18 centimetri, rapporto 56×18. Avevo riempito le tasche con una scodellina di minestra e una di pasta, dolci, prosciutto, panini con il formaggio e banane. Ma non mangiai nulla. Il segreto era l’acqua: invece di quella dei rubinetti, che sapeva di petrolio, ne avevo di minerale, offerta da una donna americana”.
 
Il ciclista di Caorso terminò la prova su strada a cronometro individuale su 100 chilometri in 2 ore 28 minuti e 5 secondi, alla media oraria di 40,514 .
“Due minuti davanti c’era l’inglese Harvell, altri due davanti il danese Hansen, campione olimpico e mondiale. Prima ripresi Harvell, poi il tedesco Maus, infine Hansen. E siccome mi s’incollò alla ruota, prima gli gridai lassam passà, poi gli mostrai i pugni”.
La vittoria di Pavesi moltiplicò il medagliere azzurro regalando anche un “oro” a squadre per la nazionale e valse al piacentino le prime pagine dei giornali e il passaggio tra i professionisti. 
 
Tornato in Italia, affrontò con grinta i circuiti professionistici ma non trovò altrettanta fortuna. Vinse solo una vittoria di tappa al Giro di Toscana e non ci fu tempo per migliorare le proprie prestazioni. 
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Pavesi si trovava in Argentina, per partecipare alla Sei Giorni di Buenos Aires. La mancanza di navi passeggeri per l’attraversamento dell’Atlantico impose al ciclista una scelta fondamentale. Il piacentino si stabilì infatti a Sáenz Peña, dove intraprese un’attività commerciale nella vendita di biciclette e divenne organizzatore di corse ciclistiche. 
L’Argentina divenne la sua seconda patria e nella terra sudamericana Pavesi ha vissuto per il resto della vita. 
 
Una vita lunghissima conclusa a 101 anni e dopo aver rivisto Caorso solo all’età di 93 anni. Insignito dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano della medaglia al merito sportivo in occasione della festa per il suo centenario, Attilio Pavesi si è spento lo scorso 2 agosto.
Fiorenzuola gli ha intitolato il suo velodromo e gli ha dedicato anche un museo nel quale sono raccolte tutte le testimonianze della sua vita avventurosa.

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