E’ un’Italia di frontiera, una terra di confine dura e di antiche tradizioni, un fronte di montagne dalla vegetazione lussureggiante e di fresche valli attraversate da fiumi.
Siamo sulle Alpi, nelle province di Torino e di Cuneo, a meno di un’ora di macchina dai confini con la Francia. Terra di inverni freddi, di nevicate e di camini accesi, di deliziose frescure d’estate che attirano un turismo selettivo, di persone che amano lunghe passeggiate nei boschi, buone letture e cucina casalinga.
C’è qualcosa di diverso che distingue questi luoghi e la gente che li abita da altre zone montane limitrofe: la lingua. Perché qui si parla una lingua antica e affascinante: la lingua d’oc. In via di estinzione con le nuove generazioni, non fosse per l’impegno di giovani e appassionati ricercatori che cercano di riportarla in vita donando nuova linfa agli antichi cantari.
Con l’occitano siamo alle origini colte della letteratura occidentale. Dopo il latino venne la lingua d’oc che ebbe un’influenza europea. Dai trovatori del ‘200 è arrivata fino a noi per trasmissione orale, anche se non sono mancate le trasmissioni colte, vedi Mistral, il poeta provenzale.
Cultura popolare con grandi titoli di nobiltà, tradizionalmente (ed erroneamente) legata alla musica nordica, in realtà nata sulle sponde del Mediterraneo. Nel Sud dell’Italia resiste ancora una di queste “isole linguistiche”. E’ Guardia Piemontese, paese a picco sulla costa tirrenica calabrese tra Fuscaldo e Cetraro. Saliti i ripidi tornanti che in pochi chilometri dal mare conducono ai 514 metri di Guardia, i nomi delle vie sono bilingui e molti parlano ancora l’occitano.
Il paese deve il nome e la fondazione a una colonia di valdesi in fuga dalle persecuzioni e dalle carestie che dalle valli piemontesi si stabilirono lì, trovando rifugio nel XIII secolo e vivendo in armonia con i cattolici.
La Calabria del resto, è da sempre terra di migrazioni e di rifugio per greci, ebrei, albanesi che si stabilirono sulle montagne dell’interno a metà del quindicesimo secolo. I valdesi di Guardia Piemontese vissero senza conflitti e in armonia con le altre comunità fino a quando non vennero colpiti dalla crociata decisa dal cardinale Michele Ghislieri, futuro Papa Pio V. La notte del 5 giugno 1561 vennero massacrati qui e a Montalto Uffugo centinaia di abitanti, uomini, donne, bambini. In seguito fu vietato l’uso della lingua occitana, il matrimonio tra i sopravvissuti e fu installato nelle porte delle case uno spioncino apribile dall’esterno per consentire ai frati domenicani di controllare la vita privata dei superstiti convertiti a forza al cattolicesimo. La comunità fu costretta a piegarsi, ma non si lasciò mai annientare del tutto, in molte famiglie, di padre in figlio, fu mantenuta segretamente la storia e la cultura degli avi e parlata sottovoce la lingua proibita.
La minoranza linguistica occitana in realtà interessa tre Stati: Francia, Spagna e Italia.
Nella nostra penisola abbraccia 12 valli ai confini con la Francia dove vecchio Piemonte sabaudo, Italia moderna ed Europa protestante si incontrano e circa 180mila abitanti spalmati su 120 Comuni parlano ancora quella che i vecchi definiscono “lenga nostra”.
Lingua romanza derivante dal latino, l’occitano deve il nome alla particella oc che in occitano significa sì. Una lingua e non uno dei tanti dialetti, grazie alla secolare tradizione letteraria, un patrimonio prezioso giunto fino a noi grazie alla costanza con cui è stato trasmesso oralmente, ma anche alle preziose testimonianze di poeti, trovatori e suonatori di ghironda, strumento usato dai bardi in tutte le corti d’Europa.
Nel 1999 con una dichiarazione comune hanno affermato l’appartenenza alla minoranza linguistica occitana 37 paesi in provincia di Torino e ben 72 comuni in provincia di Cuneo, da Argentera ad Entraque, Sambuco, Vinadio, le regie Terme di Valdieri ai piedi del monte Matto. Persiste in valle Stura, Val Maira, Val Varaita.
Rifacendoci alla storia, fra il 1100 e il 1200 furono i Trovatori a fondare la moderna lirica volgare. Cantarono la guerra, la politica, la morale, la religione, ma l’oggetto fondamentale della loro poesia fu l’amore.
L’amore “cortese” nei confronti di una dama d’alto rango, bella e irraggiungibile, una donna oggetto di venerazione e meta di un viaggio interminabile, metafora dell’affinamento etico e spirituale del poeta.
Ai poeti ed ai testi trobadorici si interessò anche lo psicoanalista Jacques Lacan che parlò dei trovatori e dell’amor cortese principalmente nel corso del suo Seminario sull’Etica della psicoanalisi (1959-60) per definire quel nucleo inconoscibile e indicibile che chiamò “centro del reale”. Immaginario e simbolico, enigma, pulsione, sublimazione: i testi degli antichi trovatori sono ancora oggi, oltre a una straordinaria testimonianza di diversità linguistica sopravvissuta nei secoli, uno stimolante invito all’interpretazione di sentimenti universali come l’amore e il desiderio.