A Milano rinasce una spa ante litteram dei primi del ‘900. Questo luogo, inaugurato nel 1926 col nome di Albergo Diurno Metropolitano, come ha ricordato il sindaco Giuliano Pisapia, rappresentò un crocevia per numerosi viaggiatori e un punto di incontro per moltissimi cittadini milanesi.
Ma che cos’erano esattamente gli alberghi diurni? Si trattava di toilette pubbliche che iniziarono ad essere edificate in tutta l’Europa negli anni ’10 del ‘900, rispondendo alle esigenze dei viaggiatori, dei primi lavoratori pendolari e, in generale, di tutti coloro che non potevano permettersi il lusso di avere l’acqua corrente nella propria abitazione. I diurni però rappresentarono molto altro, divenendo centri di aggregazione intorno ai quali presto si svilupparono numerose attività commerciali. Così agenzie di viaggio, terme, manicure, pedicure, parrucchieri e altri negozi sorsero tra le pareti di questi edifici impreziositi da decori di pregio.
 
Nel caso dell’Albergo Diurno Venezia, l’edificio che sorge sotto l’attuale Piazza Oberdan, sembra che fu l’architetto Piero Portaluppi a concepire parte della struttura, oltre alla totalità delle decorazioni e degli arredi. Benché la paternità del progetto non sia provata, il marchio inciso alle boiserie e ad altri fregi sembrerebbero confermarla. Lo stile è quello di un Liberty ispirato alle costruzioni già esistenti di Londra e Parigi.
 
Il Diurno era diviso in due parti: il salone degli artigiani e le terme. Queste ultime occupavano due terzi della lunghezza ed erano caratterizzate da docce comuni e sei bagni di lusso. Qui, come scrive Chiara Prosperini in “Le città sotterranee di Cleopatro Cobianchi”, l’architettura più infima, quella dei bagni pubblici, veniva nobilitata dall’Art Nouveau, andando a costituire uno spazio nel quale lacura del corpo risollevava lo spirito di chi era sopravvissuto alla guerra.
Una statua in bronzo di Igea, dea della salute, osservava ogni giorno il passaggio di centinaia di persone, tra cui figurarono anche politici, attori e personaggi di spicco dei salotti milanesi. Ma le pavimentazioni a mosaico vennero coperte dalla polvere e per anni rimase solo il corpo della dea nuda a testimoniare in solitudine l’abbandono e il degrado a cui l’edificio fu soggetto. 
 
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale infatti, una volta che divenne comune per i cittadini avere i servizi in casa, i diurni di tutta Italia vennero completamente dimenticati. 
I 1200 metri quadri sotterranei del Diurno inoltre, vennero penalizzati anche dalla costruzione della prima linea metropolitana milanese, la quale portò all’abbattimento di una delle due bellissime pensiline dalle forme floreali all’entrata del Diurno Venezia. L’oblio di questo simbolo della Belle Epoque fu graduale, fino a quando nel 2006 venne sfrattato anche il parrucchiere Carmelo Aiello, ultimo reduce tra i bottegai che lavoravano in queste sale. Da allora l’umidità, la mancanza di areazione e l’incuria hanno minacciato di scalfire per sempre la bellezza dell’edificio. 
 
Per fortuna però, questo tesoro rimasto nascosto agli sguardi di tutti è finalmente tornato visibile durante le giornate di primavera del Fondo Ambiente Italiano. Poi è arrivata un’altra buona notizia: il comune ha siglato un accordo per il recupero della costruzione, la pulizia, il riordino e la messa in sicurezza dei locali. 
A Londra strutture analoghe sono state trasformate in ristoranti di lusso. Nel capoluogo lombardo, oltre a restituire all’edificio la sua originaria vocazione al commercio, si pensa anche di destinare questi spazi, dall’antico fascino moderno, ad una finalità di tipo culturale. 

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