La torinese Paola Diora, insegnante e terapista con esperienza decennale di sostegno a ragazzi affetti da difficoltà cognitive, ha ideato e lanciato con la collega e socia in affari Candyce Bruce Tobo, una App creata per motivare e incentivare i ragazzi colpiti da autismo ad esprimere il loro potenziale e a mettere a frutto le loro capacità spesso rallentate dagli effetti di questa patologia.
 
L’idea di Paola nasce proprio sul campo dopo ore passate a scuola con entusiasmo, passione e dedizione. L’impegno di Paola, infatti, è sempre stato quello di implementare ogni strategia di sostegno e informazione come la sua seguitissima pagina Facebook “Intervento Autismo” fino a Tobo. La App, già disponibile su Apple Store da febbraio 2016 in sei lingue, inglese, spagnolo, portoghese, francese, tedesco e italiano, si inserisce in un quadro più ampio di presa di coscienza da parte delle istituzioni dell’esistenza di questa grave malattia che colpisce non solo i ragazzi, ma anche le loro famiglie spesso lasciate sole nel difficile compito di educarli e spronarli ad affrontare il mondo.
 
Tobo nasce proprio dalla voglia di dare un aiuto concreto a genitori e insegnanti offrendo uno strumento a questi ragazzi per imparare divertendosi con vari giochi e animazioni, spronandoli così a impegnarsi e a superare le loro difficoltà. Il lavoro da fare rimane tanto, specie a causa della poca conoscenza e impreparazione nell’affrontare questa malattia, ma se il buon giorno si vede dal mattino…benvenuta Tobo! 
 
Paola, ci racconti di te e della tua esperienza come insegnante?
Ho iniziato la mia carriera nel mondo dell’insegnamento quando ero assistente in una scuola qui a LA dove ho potuto lavorare con un bambino affetto da autismo. Quell’esperienza mi ha segnata profondamente e mi ha convinto a proseguire la mia formazione in materia e a specializzarmi alla California State University di Los Angeles dove ho conseguito un master in dirigenza e pedagogia speciale per studenti con disabilità psico-intellettive.
 
Ho in seguito assunto incarichi come terapista in alcune scuole per bambini affetti da ritardi cognitivi mentre dal 2011 lavoro per il distretto di LA in una scuola elementare nella quale insegno a bambini affetti da autismo. Pur operando negli States da tanti anni ho mantenuto un legame stretto con l’Italia dove mi reco almeno due volte all’anno per conferenze e workshop promossi da AMA-Associazione Missione Autismo.
 
Quanto hai dato a questi ragazzi in termini di impegno e quanto ti hanno dato loro in cambio?
Il mio lavoro è senza dubbio assorbente perché rapportarsi con ragazzi con gravi problemi comportamentali richiede preparazione, pazienza e un lavoro profondo. Vedere i risultati dopo un anno di lavoro, la loro crescita ed evoluzione è qualcosa che ripaga di tutto. La relazione con le famiglie è la parte più delicata sia qui che in Italia.
 
Fortunatamente ho imparato a costruire ottimi rapporti con i genitori perché mi immedesimo totalmente nella loro situazione e non mi aspetto che a casa riescano a fare quello che viene fatto a scuola. Questi ragazzi per esempio hanno diete particolari da seguire, vanno a letto tardi o si alzano durante la notte, pertanto questi genitori hanno a loro volta bisogno di supporto e comprensione per quanto devono affrontare tutti i giorni.
 
Come ti rapporti nel tuo lavoro con l’Italia e gli USA?
In Italia purtroppo c’è ancora poca conoscenza dell’autismo e questo oltre a non aiutare i genitori aumenta i loro sensi di colpa. La maggior parte delle volte vengono come rimproverati e accusati di non riuscire a gestire i loro figli per esempio sul bus o nei negozi. Nei bambini autistici in realtà le luci forti o gli ambienti rumorosi creano uno smarrimento che sfocia in pianti che sembrano banali capricci, ma in realtà non lo sono.
 
Solo quando i bambini diventano più grandi tali comportamenti vengono diagnosticati come autismo, ma fino ad allora i genitori spesso subiscono giudizi superficiali. In più, all’interno delle scuole gli insegnati di sostegno spesso non hanno un’adeguata preparazione. Al contrario negli USA e in particolare a Los Angeles esistono strutture fin dagli anni ’70 quando sono intervenute leggi a tutela di questi ragazzi garantendone il diritto ad avere a disposizione tutto l’aiuto possibile per esprimere il loro potenziale.
 
Qui, professionisti come il logopedista, terapista, fisioterapista e insegnate di educazione fisica per bambini autistici o diversamente abili sono un sostegno completamente integrato nel sistema scolastico. 
 
Come è nata l’idea di una App per ragazzi con special needs? Da cosa siete partiti per sviluppare questa idea?
Mi ha ispirata l’esperienza italiana e in particolare ho voluto digitalizzare un importante strumento di aiuto didattico usato dai terapisti per motivare il bambino a fare di più e a portare a termine i propri compiti. Si tratta di una scheda che viene solitamente fatta a mano con cartoncino a caselle. Ai bambini vengono assegnati differenti task e ogni volta che uno di questi viene eseguito viene dato un gettone da attaccare al cartoncino ultimato il quale il bambino viene premiato.
 
I ragazzi con autismo hanno una profonda mancanza di motivazione ed evitano di fare soprattutto le cose nelle quali riescono con grandi difficoltà. Abbiamo però dalla nostra parte un grande alleato, ossia la tecnologia facile da usare e attraente. La nostra App si basa sullo stesso principio dei cartoncini, ma con molte più possibilità di interazione e con grande facilità di utilizzo per insegnati e genitori.
 
Personalmente, la uso in classe ogni giorno con ottimi risultati sin dal suo lancio. In questo periodo la stiamo promuovendo attraverso la partecipazione a eventi mirati come quello tenutosi lo scorso 2 aprile al Rose Bowl di Pasadena in occasione dell’Autism Speaks, giornata dedicata ad abbattere muri e preconcetti che ancora avvolgono questa malattia e che rendono difficile la vita a questi giovani e alle loro famiglie. Noi abbiamo deciso di schierarci dalla loro parte mettendo la nostra conoscenza e professionalità a loro disposizione.

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